Era da un sacco di tempo che non mettevo su un cd di Pino Daniele. Ma proprio tanto. Eppure quando è arrivata la notizia della sua morte e da ogni dove hanno cominciato a venire le sue note e sono andato a riprendere “Terra mia” e “Nero a metà”, mi sono accorto di ricordare ogni parola, ogni nota di quei pezzi. Perché Pino era parte di me, la sua musica la so a memoria, come il verbo essere, come la mia data di nascita. Non te la puoi scordare.
Da due giorni c’è questa tristezza dentro, che non se ne va. Che poi, che senso ha? Le sue canzoni stanno lì, le potremo ascoltare ancora un milione di volte, oppure mai più.
Eppure, sinora non mi sono mai sentito così triste, nemmeno quando è morto Massimo Troisi. Forse quando Diego non ci sarà più. Se a piazza Plebiscito erano 10, 20, 50, 100.000, per Diego saranno 10 volte tanti.
Anche allora, tra 1000 anni, ci saranno le stesse polemiche, perché ci piaccia o no, dei nostri luoghi comuni siamo schiavi. Ci sarà qualcuno che dirà che è una esagerazione, che è una sceneggiata, che non c’è misura, che non c’è rispetto. E un po’ avranno ragione e un po’, invece, no. Perché a noi piace sentirci dire che “solo a Napule ‘o sanno fa”, ma ci dà fastidio quando l’originalità si trasforma in macchietta, in pregiudizio. In razzismo.
Viene criticato l’entusiasmo tracimante, che riempie una piazza per cantare una canzone, che riempie uno stadio per la presentazione di un calciatore. Dà fastidio a chi non lo comprende, ma dà fastidio anche a chi in mezzo a quella folla ci si ritrova, che vorrebbe che quell’energia, ad un certo punto, si fermasse. Davanti al dolore ed allo smarrimento dei familiari, ad esempio.
Ma contenere Napoli è pressoché impossibile. Così è, inutile girarci attorno. Questo sito parla di calcio ed il Napoli è uno degli esempi più calzanti di tutto ciò. Stadi pieni in serie C, San Paolo vuoto dopo due pareggi. Gabbiadini osannato come se fosse Van Basten, David Lopez insultato come se fosse un nemico. E questo su e giù lo sentiamo anche dentro di noi, che certe volte vorremmo non essere napoletani e certe altre volte non sappiamo pensarci in nessun altra parte del mondo, che certe volte vorremmo scappare lontano ma quando siamo lontani ci sentiamo male.
Le tante parole su Napoli che abbiamo sentito in queste ore, che abbiamo sentito un milione di volte e chissà quante altre volte sentiremo, non mi fanno neanche più incazzare. Troisi ci scherzava sopra: “Emigrante? Sì”.
Domenica ci sarà il tutto esaurito al San Paolo, ci saranno striscioni e canzoni e anche stavolta, c’è da giurarci, non si riuscirà ad arrivare fino in fondo al minuto di silenzio. Troppa energia. E d’altra parte senza quest’energia il “Neapolitan power” non sarebbe esistito.
In un’intervista pubblicata un mese fa, Pino ha risposto così alla domanda “dove ha trovato la sua identità?”
“A Napoli: il nostro era un modo nuovo di fare la canzone napoletana. Anche se non ci vivo più da tempo mi sento ancora parte della città. Ne sento ancora i problemi. E artisticamente sto tornando lì: ho già scritto 2-3 canzoni in napoletano e chissà che il prossimo disco non sia tutto così…”.
Il prossimo disco sarà un disco postumo, purtroppo. A noi non rimane che imparare da Pino come si fa a trasformare la nostra energia in capolavori. Anche nel calcio. E non lo so se mai ci riusciremo.
Fabio Avallone