Forse parlare delle altre può aiutare. La Roma ha incredibilmente pareggiato in casa contro un disastrato Parma e l’Olimpico li ha subissati di fischi. (Hai visto, sono come noi, peggio di noi, perché questo è il tifo: quando perdi, vieni fischiato). E in effetti in Italia è tristemente così. E se lo fai notare, si arrabbiano pure. Cioè arrabbiano è poco. Sbuffano fumo dalle narici. Basta notare come reagiscono alle notizie da Dortmund. Noi (italiani) siamo diversi, e orgogliosi di esserlo. Legati al risultato o obbligati a vincere. Insomma, qualcosa di molto lontano dalla cultura sportiva. Poi, però, quando un dirigente sportivo ti spiattella chiaro e tondo che cosa è oggi il calcio, monta l’indignazione in automatico. Lo sport non conta per noi, ma per loro deve contare, oh sì che deve contare. Insomma, la vetrina dev’essere patinata. I rutti li possiamo fare solo noi tifosi.
Nel frattempo, a Milano – sponda interista – il lavoro calcistico comincia lentamente a dare i propri frutti. In settimana Mancini ha regalato una dichiarazione che per il calcio italiano è arabo: «Con Mazzarri questa squadra avrebbe 4-5 punti in più». Perché il lavoro conta, ed è complesso approdare in una realtà diversa e provare a imporre il proprio credo. Non solo con i calciatori, ma anche col resto della squadra (un club non è composto solo dai giocatori), per non parlare dell’ambiente. Insomma, non sono fiaschi che si abboffano. Sono operazioni complesse. Si cambia una mentalità e si prova lentamente a costruirne un’altra. Al fondo dovrebbe esserci sempre una società. Perché è la dirigenza che impone una determinata cultura d’impresa che negli anni può dare i suoi frutti. E torniamo a Dortmund. È una cultura d’impresa (oltre a una cultura sportiva, ovvio) che consente di avere lo stadio pieno anche quando la tua squadra lotta per non retrocedere pur essendo abituata a giocare (e qualche volta a vincerle) le finali di Champions.
Quel che non comprendo è perché non si debba tendere al meglio e invece si preferisca crogiolarsi in una mentalità che in fin dei conti non sta portando il nostro calcio molto lontano. E non certo per colpa di Lotito, cari i miei moralisti con scarsa memoria.
E lo sapevamo, il Gallo sta tergiversando perché abbiamo perso. E quindi veniamo a noi. Il Napoli ha perso 3-1 a Palermo. Ha perso male. Si può perdere male in tanti modi nello sport. Uno di questi è quando a fine partita hai la sensazione di non averla nemmeno giocata. Nella boxe è peggio, perché ti ritrovi al tappeto senza sapere neanche come. E così ci siamo ritrovati sotto di due gol senza rendercene conto. Il che, sia chiaro, è un’aggravante. L’argomento del giorno è Rafael. Ha preso un gol da quaranta metri. Un infortunio grave, visto altre volte sui campi di calcio ma grave. È rimasto da solo dopo il gol, senza nessun compagno a consolarlo tranne il solo Albiol che gli si è avvicinato. Si è visto Benitez incitare i suoi, ma in campo i volti non erano molto reattivi. E si è visto.
Il gol ha cambiato la partita. Ma il Napoli di ieri sera non si può ridurre a Rafael. La palla passa a Benitez. Sta a lui gestire la vicenda portiere. Lo ha fatto egregiamente e i fatti, come per tantissime altre questioni, gli stavano dando ragione. Poi, però, c’è stata una ricaduta. Chievo. Contro l’Udinese. E Palermo. Di questi tempi, lo scorso anno, stavamo smadonnando per una papera di Reina. Ma lo spagnolo è ovviamente tornato di moda nei commenti post-partita. Vale sempre la pena ricordare che questa stagione è stato a lungo infortunato (così come vale sempre la pena ricordare lo scetticismo con cui venne accolto, considerate le sue non poche papere a Liverpool) e che il buon Pepe ha scelto una pensione dorata. E bene ha fatto.
Benitez saprà come fare. Sarà lui a dover parlare con Rafael. A capire cosa pensa il resto del gruppo. Sostituire un portiere non è semplicissimo. Ti può andar bene ma ti può andar male. E se Andujar (non propriamente infallibile a Catania) dovesse fallire, sarebbe un po’ come giocare in dieci. Per fortuna l’allenatore con le spalle larghe ce l’abbiamo. Saprà cavarsela. E poi ora che sta imparando il calcio italiano… Anche se devo dire che le sue frasi in conferenza pre-partita su Rafael hanno destato la mia attenzione: non era parso così definitivo come in altre occasioni.
Come al solito, dopo una sconfitta, vengono fuori gli altarini. Quei commentatori che per settimane hanno dovuto reprimere il loro istinto di distruzione e si sono arrampicati fino a definirsi rafaeliti (a volte la vita regala scene davvero imperdibili) non si sono trattenuti. E non potendo sfogare subito contro Rafa, hanno sbottato contro il portiere. Ne abbiamo già scritto.
Il resto della squadra non ha fatto molto meglio. Tranne il solo Hamsik, forse, e Gabbiadini. Interessanti le dichiarazioni di Ambrosini ieri sera nel salottino Sky: «Le giornate sbagliate possono capitare, il Napoli deve imparare a limitare i danni in serate così». Mi è parso il commento più intelligente. Invece gli azzurri si sono offerti all’avversario senza opporre alcuna resistenza. Persino Strinic è parso inguardabile. Ma la lista degli orrori è molto lunga. Troppo brutto per essere vero il nostro Napoli, almeno speriamo. Evidentemente Rafa ha dimenticato le lezioni di calcio italiano che pure sembrava, a detta dei soliti noti, aver compreso. Il Corriere dello Sport ha scritto di un Benitez furioso. Ed è una buona notizia. Assieme al pareggio interno con la Roma. Il turn over e altre amenità le lasciamo ad altri. Anche se personalmente mi ha fatto piacere rivedere Zapata in campo. Abbiamo perso una partita. Non è il caso di fare tragedie. Anche in questo si riconosce la maturità di un ambiente. Quando non dipinge – per giorni e giorni – come novello Messi un giovane napoletano autore di un pregevole assist con la maglia della Roma.
Abbiamo solo perso. Tutto qua. Dobbiamo imparare a dircelo. Altrimenti finiamo come Fonzie che non riusciva a dire di aver sbagliato. Meno cianciamo noi, più rapidamente recuperano loro. Infine, ma che gol ha fatto Gabbiadini eh? Come? Culo? E vabbè, perché quella di Madjer fu solo bravura?
Massimiliano Gallo