Il dottor Alfonso De Nicola, responsabile dello staff medico della SscNapoli è interventuo ieri sera all’incontro “Napoli che passione! Serata di sport, salute e alimentazione” organizzato da Valeria Grasso (giornalista AV Kronos) e Alberto Feola (Gruppo Ultràmici).
«Lo staff medico del Napoli è il primo in Italia per la prevenzione degli infortuni muscolari e questo è frutto di lavoro di équipe che portiamo avanti quotidianamente». Così il dottor De Nicola ha aperto il dibattito raccontando il suo arrivo al Napoli e come lo staff sia cresciuto in questi anni «Quando arrivai qui, Reja mi disse: «un anno a Napoli è come quattro da un’altra parte». Non è stato così. Abbiamo iniziato dalla serie C, era un momento in cui la società aveva grande desiderio di riscatto dopo anni di sofferenza, questo ci ha permesso di avere la possibilità di sperimentarci, commettere errori e crescere insieme alla società. Perché di errori ne abbiamo commessi, tanti, ma potevamo sbagliare, la società era forte, il pubblico era fortissimo e avevamo un gruppo di lavoro eccezionale. I risultati sono venuti ed hanno nascosto i nostri sbagli, ma ci sono serviti per crescere. Abbiamo sbagliato nella gestione di alcuni infortuni: Savini ad esempio doveva essere operato subito; errori anche nella scelta dei farmaci, poi ci siamo accorti che quattro occhi sono meglio di due ed era meglio lavorare in gruppo. Ci siamo serviti delle migliori personalità di tutte le specialità mediche, non so se questo succeda ovunque nelle altre società calcistiche»
Benitez, che ha lavorato in Inghilterra e Spagna, che idea aveva del lavoro dello staff medico?
«In Inghilterra e Spagna c’è una cultura diversa, le squadre di calcio non hanno uno staff sanitario e ogni giocatore si va a curare dove ritiene. Benitez pensava che ciascun giocatore avrebbe avuto il proprio staff medico di fiducia, anche perché l’esperienza avuta a Milano (Inter) non lo aveva soddisfatto. Voleva lavorare bene e aveva paura di confrontarsi con un metodo di lavoro che non conosceva. Lo convincemmo a provare il nostro metodo e si è trovato bene»
Qual è l’atleta migliore che ha visto a Napoli?
«Credo Cavani, ma anche Ghoulam, Insigne, Lopez e soprattuto Higuain. Qualche anno fa non avevamo la forza atletica che abbiamo oggi».
Chi decide quando giocatore infortunanto può tornare in campo?
«Dipende dall’allenatore, ci sono stati alcuni che mi chiamavano notte e giorno per sapere le condizioni fisiche dei giocatori, altri invece preferivano non rischiare mai troppo presto. Con Benitez, invece, la scelta di un giocatore non è mai casuale, i suoi collaboratori studiano le condizioni fisiche, i test clinici e i movimenti in campo per decidere chi va in campo e difficilmente sbagliano».
Ha detto che siete uno staff competente come pochi in Italia eppure puntualmente per operarsi i giocatori vanno fuori, vi sentite scavalcati?
«No. Molto dipende dal rapporto di fiducia che hai col giocatore, col procuratore. Quando Insigne si è infortunato a Firenze il presidente mi ha chiamato per sapere qual era la cosa migliore da fare ed io gli ho detto che doveva operarsi. La tempestività ha influito molto, perché il recupero lampo da certi infortuni si ha quando l’atleta soffre di meno, perché non ha memoria della sofferenza. Spesso la parte difficile di un recupero non è la cura ma la riabilitazione, per questo noi cerchiamo di portare, quando è possibile, subito i giocatori a vedere gli allenamenti dei compagni. È una tecnica (mirror terapy) che pur non avendo basi scientifiche, offre buoni risultati».
Voi stabilite la dieta dei giocatori, ma quando c’è la sosta quali consigli date?
«I nostri sono consigli alimentari, ma dipende dalle motivazioni e dai momenti. I consigli li diamo ma spesso i giocatori a casa fanno diversamente perché sono giovani e si scocciano di fare la spesa, quindi vanno al bar a fare colazione. Capita anche si lamentino perché non prevediamo la Nutella a colazione. A questo proposito ricordo Quagliarella: ai suoi tempi in Nazionale la Nutella c’era sempre anche perché ne era sponsor e si lamentava dicendo: in Nazionale ce la danno e qui no».
Si dice che i medici italiani per la prevenzione delle malattie cardiache sono all’avanguardia, voi come vi comportate con i controlli?
«Negli ultimi anni siamo più attenti, alcuni calciatori li controlliamo più spesso, altri si sottopongono a un controllo di routine ogni anno»
Che differenza c’è tra la preparazione atletica del Napoli di Mazzarri e quello di Benitez?
«Noi cerchiamo di capire il metodo migliore per far rendere un calciatore ma la macchina è fondamentale, per cui il confronto non si può fare perché parliamo di giocatori differenti. Possiamo dire che abbiamo avuto un calo di infortuni muscolari, però sono aumentati quelli di tipo traumatico: questo si spiega sia perché con Mazzarri si giocavano meno partite sia perché l’allenamento di Benitez prevede tanto lavoro col pallone. Questo fa sì che si affina il gesto tecnico ma crea altri scompensi. Poi bisogna tener presente anche che il tipo di gioco sempre palla a terra favorisce gli scontri. Dai dati possiamo affermare che prima avevamo degli alti e bassi di rendimento fisico nella stagione, con questo sistema di lavoro si è sempre all’80/90 percento ma non si hanno cali. Anche perché la gestione mentale e psicologica di Benitez è più attenta al benessere mentale del giocatore».
Abbiamo un talento tra i pali che da quando si è fatto male con lo Swansea sembra bloccato. Forse ci sarebbe bisogno di uno psicologo nello staff?
«Non sono previsti psicoterapeuti in nessuna società, solo nel settore giovanile. Rafael ha avto un infortunio lungo ed è chiaro che ci abbia messo tempo a recuperare»
Quali sono le sue idee per migliorare la salute del Napoli?
«Ora si riposano fino a lunedì e poi riprendiamo a lavorare come abbiamo sempre fatto. Qui si è abituati a guardare i risultati ma la forma fisica non coincide sempre con i risultati»
Nelle ultime partite la forma fisica non era al 80/90 percento?
«Questo secondo un giudizio empirico e da tifoso che guarda la partita, ma lo staff di Benitez analizza i giocatori in modo diverso e approfondito, dati alla mano ti sanno dire quanto ha corso la squadra, in quanto tempo, quanto tempo ci ha messo a recuperare. Lo ripeto, non sempre il risultato va di pari passo con la forma fisica».
Francesca Leva