Il sacrosanto giudizio espresso da Benitez a proposito dei ritiri («Sono roba da anni Settanta, non servono a niente») deve aver lasciato il segno se nell’editoriale della storica qualificazione alle semifinali di Europa League Il Mattino decide di bacchettare l’allenatore e di tessere l’elogio della visione virile del calcio espressa da Aurelio De Laurentiis.
Non si può non partire da qui il giorno dopo lo storico approdo. Fino a ieri sera soltanto due volte il Napoli aveva raggiunto la semifinale di una coppa europea: nel 1977 in Coppa delle Coppe e nel 1989 in Coppa Uefa. Vinicio, Ottavio Bianchi (soprattutto Maradona, in realtà) e Rafa Benitez. Il suo Napoli, come giustamente sottolineato da Carlo Franco, ha mostrato un calcio superiore a quello del Wolfsburg che ora – ma la vita va così – da qualcuno viene già considerato una squadra sopravvalutata.
Si torna al ritiro perché è lì che si crea la frattura tra De Laurentiis e Benitez. È in quel momento che il presidente, che si vede perso e non sa come arginare la rabbia popolare, getta il tecnico in pasto alla folla. E addita i calciatori accusandoli di fare la bella vita. In quattro e quattr’otto cambia la scena e si pone come il salvatore della patria. Mazza e panella hanno sempre il loro fascino. La seduzione dell’essere primitivi. È da ricercare lì, in quella serata, la ragione della ritorsione mediatica di Benitez. Il suo “business plan” è una mossa da judoka, ricorda l’abilità con cui Alì si sottrasse dalle corde a Kinshasa per dar vita alla serie di colpi che cambiò la storia del pugilato (e non solo). A settembre, se ricordate bene, non andò così: Benitez difese il mercato della società, dichiarò che questa squadra era più forte di quella dell’anno precedente (e in effetti i fatti gli stanno dando ragione). Chi ha tradito il patto non è stato lui. Chi ha rovinato la festa non è stato lui. Lui, varrebbe la pena evidenziarlo, la festa l’ha organizzata e allestita. Senza di lui, niente festa. È sempre bene ricordarlo a chi, dopo l’inutile sconfitta con lo Young Boys, avrebbe voluto mandarlo a casa.
De Laurentiis, però, un merito lo ha avuto. In realtà tanti, ma il riferimento è alla populistica scelta del ritiro. Ha reso Benitez e Higuain quasi complici. Non abbiamo mai saputo granché del loro rapporto. Si è sempre letto che Benitez, quando arrivò, presentò una lista di nomi per sostituire Cavani. E tra questi c’era Gonzalo. Da subito idolo dei napoletani, segnò il suo primo gol a Verona contro il Chievo, preceduto da un sontuoso assist a Callejon. Bucò il Dortmund, bucò Abbiati a Milano prima di un risentimento muscolare che gli fece tornare vecchie paure. Ha segnato gol magnifici (con l’Arsenal, ad esempio), ne ha sbagliati di clamorosi (a Dortmund). Un bilancio nettamente positivo, comunque. Fino all’inizio di quest’anno, quando tra i due sembrava calato il grande gelo. Addirittura in una conferenza stampa Benitez arrivò a dire che con un fatturato inferiore puoi raggiungere certi livelli solo se hai un Cavani che segna più di trenta gol a stagione. Più che evidente il riferimento. Higuain era abulico, non si riprendeva dallo shock di aver perduto la Champions (grande gol al Bilbao), giocava quasi controvoglia. Si arrivò a un labiale – in occasione di una sostituzione – che somigliava tanto a un vaffanculo.
Separati in casa o giù di lì. Fino a Doha. Quando Higuain prese la squadra per mano e dopo il gol fece un gesto inequivocabile con riferimento ai suoi attributi. Chissà, forse, era quel che gli aveva contestato Benitez, di non essere un trascinatore, di nascondersi, di non vestire i panni di leader che invece gli competevano e gli competono per valore assoluto ed economico.
Quel rapporto almeno apparentemente tormentato da un po’ di tempo sembra invece essere virato all’armonia. È quasi un pucci pucci. I due si cercano, dialogano, ammiccano, si abbracciano nel post partita, si sorridono, confabulano. L’uno, il principale accusato nella serata della città rapace, come se Madrid fosse un monastero; l’altro, il padre di famiglia che non saprebbe come si fa a tenere a bada un figlio di vent’anni. Tra uno sguardo complice e l’altro, si sono accompagnati a vicenda in semifinale di Europa League. Senza nemmeno il ritiro. Roba da anni Settanta, da una visione del calcio e della vita asfittica e triste. Loro, però, sembrano allegri come non mai. Che poi, senza quel genitore inconcludente e permissivo, l’avremmo mai visto un figlio così? Taglio perfetto per Callejon. Assist sontuoso a Mertens. Uscita con standing ovation. Sorrisi e abbracci. Ventiquattro gol segnati quest’anno, già eguagliato il record dello scorso anno. Non male in una città piena di uccellacci.
Massimiliano Gallo