Come ormai è vergogna costante in Italia, dopo lo sdegno, le accuse di infamia, la solidarietà a parole con la madre di Ciro Esposito, la vicenda degli indegni striscioni dell’Olimpico di Roma va annacquandosi passando dalla emotività del momento alle assunzioni di responsabilità (morale, non altro). Annacquamento totale della giustizia sportiva con un turno di squalifica della curva romanista.
Nessuna meraviglia. Il prefetto e il questore di Roma sono rimasti a lungo al loro posto dopo le evidenti lacune del servizio d’ordine a Ponte Milvio che favorirono l’agguato mortale a Ciro Esposito. Neppure davanti a un omicidio qualcuno ha pagato (per quel che vale dopo la perdita di una vita umana). Gli avvicendamenti sono avvenuti seguendo consueti iter di trasferimento. Figuriamoci se vogliamo impegnarci seriamente per uno striscione, due, tre striscioni.
La Roma, come società ospitante in occasione degli striscioni, avrebbe fatto meglio a tacere anziché diffondere il melenso comunicato di James Pallotta. La mancata condanna diretta degli infami da parte del club giallorosso induce all’automatico sospetto che la Roma non vuole inimicarsi quella curva cui dedica grandi riverenze. Quindi, la Roma “conosce” quella curva. Ha niente da dire alla procura federale, alla polizia, alla magistratura? Uè, mister Pallotta ci vogliamo solo scherzare sopra: tu vuò fa’ l’americano …
Nella patria degli annunci, anche il presidente federale Tavecchio ha annunciato indagini, inchieste, punizioni dei colpevoli (da quale pulpito vengono poi questi annunci).
Il sindaco di Napoli ha espresso automaticamente il suo sdegno. Stop. La politica tace perché sul piano morale ha poco da fare la maestra. D’altra parte, in questo paese di femminicidi, che impressione può fare l’assassinio verbale di una madre?
Con grande spudoratezza i media sostengono che bisogna arrivare all’identificazione degli infami dell’Olimpico però condendola con i distinguo all’italiana, punirli in gruppo, a dozzine, individualmente, con sanzioni amministrative, con sanzioni penali, si può, è possibile, la legge che cosa dice.
I media che volessero condurre una vera battaglia sul calcio italiano marcio dovrebbero battere ogni giorno su questo tasto, essere asfissianti, pressanti, incalzanti e non mollare la presa nel tempo, salvo tornare alla carica in occasione di un nuovo “fattaccio”.
La polizia ha spiegato come entrano gli striscioni negli stadi. Non spiega perché, dopo che i vari pezzi, passati al controllo, vengono montati sugli spalti, la polizia non interviene. Svastiche, ingiurie e minacce continuano a campeggiare sulle curve.
La spiegazione è la solita spiegazione all’italiana: chiudere gli occhi, non intervenire, evitare il peggio. E’ una polizia moralmente disarmata che viene mandata allo sbaraglio (subire, non attaccare mai) dai superiori degli alti livelli, attenti alla carriera e al compromesso, preoccupati soli che “non ci scappi il morto”. Quali sono state le dichiarazioni trionfali dei responsabili dell’ordine pubblico romano dopo le devastazioni dei tifosi olandesi del Feyenoord? E’ andata bene, non c’è scappato il morto.
Per molto meno, all’estero (principalmente in Olanda e Inghilterra) la polizia interviene duramente e duramente la magistratura punisce. Ma in Italia teniamo tutti famiglia anche se poi siamo solo una famiglia mafiosa.
Ora la preoccupazione per gli striscioni di Roma è trovare il modo come intervenire, che è sempre un modo italiano, confuso, circospetto, dilatorio. Nessuno si è chiesto (troppo imbarazzante) come si sarebbe dovuto intervenire sul momento. La squalifica della curva giallorossa dell’Olimpico è il più debole dei segnali. Forse, la giustizia ordinaria potrà fare di più.
Negli stadi c’è un responsabile del Viminale che dovrebbe intervenire. L’arbitro non può, i giocatori nemmeno. Vengono citati regolamenti, commi, capoversi e paragrafi. Giusto. Ma figuriamoci se un burocrate a bordo campo, cui è stato raccomandato di non vedere per evitare il peggio, può muoversi.
Non è una questione di regolamenti, commi e responsabilità civili, di funzionari e addetti vari all’ordine pubblico. Di fronte agli infami striscioni di Roma, la reazione doveva essere una reazione morale, delle coscienze, dei cuori. E chi, più di uno sportivo, che dovrebbe essere il paladino della lealtà, della correttezza, del rispetto, poteva e doveva intervenire al di là di leggi e regolamenti?
Gli sportivi dovevano intervenire all’Olimpico. Primi fra tutti l’arbitro e i giocatori. Intervenire chiedendo al burocrate del ministero degli Interni a bordo campo di far rimuovere gli striscioni. Non averlo fatto è la responsabilità morale degli attori in campo. All’Olimpico tutti hanno chiuso gli occhi. E ora siamo alle geremiadi del dopo, alle tavole rotonde, ai talk-show, alle inchieste ipocrite, ai provvedimenti blandi.
All’Olimpico sarebbero stati necessari uno scatto morale, una reazione morale, un sentimento immediato di sdegno degli sportivi in campo, non dei burocrati. Vogliamo ricordare la tribuna d’onore dello stadio romano la sera dell’agguato a Ciro Esposito, le facce impassibili di ministri e bellimbusti della politica e dell’ordine pubblico?
Il calcio deve difendere da solo la sua deriva. Se non lo fa è un calcio finito. E a un sopruso di vergogna non si deve contrapporre la richiesta di squalifiche di campo e penalizzazioni in classifica. Questa è burocrazia. E’ il cuore del calcio che deve battere. Non l’ha fatto davanti al cuore di una madre a lutto. Anzi l’ha deriso, umiliato, ingiuriato.
Che altro deve accadere per il riscatto di un Paese alla deriva in ogni settore? Lo sport, che dovrebbe essere esempio di condotta morale assoluta, tace e incassa. E il calcio, con le sue magagne, i processi, le radiazioni e le prescrizioni, è troppo marcio, complice, ipocrita per alzare una voce pulita. La resa è totale e l’infamia sempre più grande. La temporanea squalifica della curva romanista è una carezza ai violenti di Roma.
Mimmo Carratelli