Gli eventi degli ultimi dodici mesi, dalla morte di Ciro Esposito al cosiddetto “Caso Parma”, non hanno fatto che sottolineare come, una volta di più, la Lega Serie A sia del tutto inadeguata a gestire, tutelare e promuovere lo sport professionistico più diffuso e più amato d’Italia.
La Lega Serie A, già Lega Calcio e Lega Nazionale Professionisti, gestisce l’organizzazione dei maggiori campionati fin dal 1946, ben prima della Bundesliga (1963), della Liga (1984) e della Premier League (1992). È stata preceduta dalla Ligue de Football Professionel (1944), oltre che dalle leghe professionistiche americane di baseball MLB (1876), football NFL (1920) e basket NBA (1946). Tuttavia pur essendo una delle più antiche è di fatto la più arretrata in tema di promozione e valorizzazione del suo prodotto (il calcio), tutela degli spettatori, promozione dei valori dello sport e rispettabilità e onorabilità del campionato che organizza.
Nessuno vuol ricondurre i problemi del calcio italiano ai valori dello sport olimpico, nessuno crede sia il caso di tirare per la giacca De Coubertin, ma se anche si analizzasse solo l’operato della Lega Serie A in termini di promozione del business calcistico ci si renderebbe conto di quali gravi lacune presenti. Nessuno sport e nessuna lega professionistica è immune da problemi o scandali di varia natura, basti pensare allo “Scandalo dei Black Sox” nel 1919 quando emerse che alcuni atleti della squadra favorita per la finale delle World Series (i White Sox) si accordarono per perdere di proposito dietro lauto compenso. In tempi più recenti, sempre la MLB è stata coinvolta nello scandalo “Balco” per l’abuso diffuso di steroidi da parte dei giocatori. La NFL ha avuto problemi di condotta violenta in campo e fuori da parte di suoi giocatori, l’NBA è stata più volte teatro di fenomeni di razzismo in campo e anche fuori da parte di dirigenti e/o proprietari di club.
Eppure ognuno di questi eventi ha prodotto da parte delle leghe risposte dure, trasparenti e mirate a tracciare chiaramente la strada da seguire. A farne le spese sono stati giocatori, dirigenti e finanche proprietari (in NBA) espropriati delle società e liquidati per condotte improprie. Gesti forti, talvolta apparentemente persino esagerati, ma che hanno il chiaro scopo di proteggere il campionato, lo sport e non disperdere in alcun modo il patrimonio di passione dei tifosi.
Nel calcio della vecchia Europa i problemi che le leghe calcistiche hanno dovuto affrontare sono stati di natura diversa nel corso degli ultimi decenni, sebbene tutte siano state impegnate ad inseguire lo stesso risultato: incrementare i ricavi. In fondo che cos’è una lega professionistica? È una società privata che tutela gli interessi dei suoi associati; dovrebbe però essere terza rispetto a questi ultimi per poter garantire una gestione equa ed evitare controversie tra le parti. Questo si traduce anche nella capacità di sanzionare le società stesse nel caso in cui vengano meno ai loro obblighi verso i tifosi e verso la lega stessa.
Ma quali sono gli interessi della Lega? Vale per la Premier League, la Bundesliga, la Liga, la Ligue de Footbal Professionel e la Lega Serie A, per tutti loro il primo obiettivo è fare soldi con i contratti tv. Dopodiché, ci sono molte differenze su come questi soldi vengono ripartiti tra le società e come eventualmente vengono spesi per progetti di pubblico interessa ed utilità. Da queste scelte condivise derivano le diverse priorità in termini di obiettivi collettivi e individuali da raggiungere, ad esempio favorire la partecipazione del pubblico alle partite (in quest’ottica è esemplare la Bundesliga con i suoi prezzi bassi), oppure, sfruttando impianti confortevoli e alta richiesta, puntare a massimizzare gli introiti dai biglietti (e infatti in Premier i prezzi sono molto salati).
Cosa invece va contro l’interesse delle leghe? Tutto ciò che possa creare un danno di immagine al campionato, perché ogni danno di immagine si traduce in meno soldi dalle tv, meno pubblico e meno soldi dagli stadi, cattiva pubblicità per gli sponsor e via così. Qualche esempio? La violenza dentro e fuori dagli stadi, la poca serietà delle società, bassa affluenza di spettatori alle partite, etc.
Suona stranamente familiare questo elenco perché la Lega Serie A ha semplicemente messo in piedi una farsa in questi anni, uno spettacolo ad uso e consumo di media quanto meno compiacenti, fingendo di affrontare i problemi con iniziative di carattere straordinario ma di fatto applicando in maniera rigida la massima gattopardesca “bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga come è”.
Sono state concesse la violenza (fisica e verbale), le manifestazioni di intolleranza e discriminazione, un’impunità di fatto alle curve italiane; questa inazione ha prodotto un vincolo di complicità tra le società sportive e una parte dei rispettivi tifosi. Certi comportamenti sono stati declassati a folklore da stadio e goliardia, non riconoscendo i germi dell’odio o, peggio, facendo finta di nulla. La squalifica della curva della Roma non serve a niente. Quanto è credibile che le forze dell’ordine (insieme alla società) in uno stadio con oltre cento telecamere in alta definizione non abbiano potuto identificare e sanzionare individualmente quelli che reggevano gli striscioni? Non è credibile e non è accettabile. Quanto è credibile che la Roma (ma vale lo stesso per la Juventus, il Milan, il Napoli, l’Inter, etc) ignori l’identità di coloro che governano le curve? Semplicemente è incredibile, non credibile.
E sono società non credibili a formare una Lega che non è terza a nessuno, se pensiamo che negli ultimi vent’anni i presidenti sono stati espressione di gruppi di potere ben chiari, quando non addirittura direttamente legati a un club piuttosto che a un altro. È palese ad ogni persona intelligente come chiudere una curva sia un provvedimento inutile. Sarà così fin tanto che non ci saranno strumenti legislativi adeguati. Oggi le società possono addirittura proclamarsi vittime senza essere costrette ad affrontare i propri fantasmi buttando fuori a vita dagli stadi coloro che con il calcio e lo sport non c’entrano nulla.
Ma anche in assenza di nuovi strumenti, la Lega avrebbe dovuto continuare a sanzionare questi comportamenti con multe sempre più salate (da 50 mila euro in su) in modo da costringere le società ad agire. Quello economico è sempre il nervo più scoperto. Si è preferito invece spingere il neoeletto presidente Tavecchio a rivedere le sanzioni al ribasso, andando incontro all’interesse dei singoli club ma non a quello del campionato. Né del prodotto calcio italiano.
L’ultima vergogna è quella degli striscioni di insulti ad Antonella Leardi, madre del defunto Ciro Esposito, assassinato per una partita di calcio. Ancora una volta si rifugge dall’affrontare il problema riducendosi a ragionare da tifosi, Roma contro Napoli, quando invece dovrebbe essere riconosciuto un problema di individui che risiedono in tutti gli stadi d’Italia. Viene dunque da chiedersi se saremo forse più contenti quando negli stadi resteranno solo questi infami, come li ha definiti giustamente Gianni Mura.
Qualche giorno fa scriveva su Twitter il reporter Ivan Grozny: “Il giorno che si faranno valutazioni senza mettere davanti tifo e campanilismo saremo un Paese migliore. Quindi non c’è speranza.”
Un campionato ha senso di esistere se ci sono i tifosi, se sono tanti, appassionati e rumorosi, se le partite per quanto sofferte o difficili sono un momento per stare insieme, condividere una passione, le emozioni del gioco, la gioia delle vittorie come il dispiacere delle sconfitte. Una volta persi i tifosi si chiude bottega, ma questo sembra essere completamente ignorato dalla Lega Serie A.
Andrea Iovene