Forse la “maldición de la Premier” esiste davvero. Un tempo la vittoria del campionato assicurava una linea di credito cospicua, anche in presenza di risultati non soddisfacenti. Negli ultimi anni invece la tendenza è un’altra. Mourinho, Ancelotti, Mancini e Ferguson poco dopo aver vinto il titolo, per diversi motivi, hanno lasciato le rispettive panchine. Alcuni ritengono che Pellegrini possa essere il quinto.
Il Manchester City, per stessa ammissione del tecnico, ha buttato la stagione nella spazzatura. Eliminato agli ottavi di Champions League del Barcellona; umiliato in casa nel quinto turno di FA Cup dal Middlesbrough (squadra di seconda divisione) e quarto in campionato, con un Liverpool all’inseguimento.
Sul banco degli imputati c’è Manuel Pellegrini. Appena lo scorso anno veniva celebrato dal New York Times: “Il tecnico del Manchester City: onesto, affascinante e vincente con stile.”
Fu chiamato nel giugno 2013 in sostituzione di Roberto Mancini. L’attuale tecnico dell’Inter fu sollevato dall’incarico con un bizzarro comunicato: “È stata una decisione difficile da prendere per il proprietario, il presidente e il board. Nonostante gli sforzi di tutti, il club non ha raggiunto alcuno degli obiettivi fissati quest’anno, ad eccezione della qualificazione in Champions. Questo, unito alla necessità di sviluppare un approccio olistico sotto tutti i punti di vista del club, ha comportato questa decisione.”
Chiaramente la parola “olistico” causò l’ilarità di molti. La società difese questa scelta, ritenendo che fosse la parola giusta, solo un po’ new age. La dirigenza del City era stanca del “lunatico” Mancini, pare decisiva sia stata l’animata discussione con Balotelli. Chi meglio di un Ingegnere, dunque, poteva ricostruire uno spogliatoio spaccato?
Pellegrini era motivato a iniziare un nuovo ciclo, dare al Manchester un suo stile: un calcio piacevole e offensivo. Il tecnico cileno dopo le vittorie in Sud America e i successi in Spagna, tralasciando la parentesi di Madrid, approdava in Inghilterra. La stampa cilena era preoccupata, il Santiago Times si domandava se Pellegrini fosse il tecnico giusto per il duro calcio inglese. In particolare si nutrivano dubbi sulla capacità dell’allenatore di gestire i rapporti con i media: “Il successo in Inghilterra è misurato tanto dall’immagine pubblica di un manager quanto dalla manipolazione della stampa. I top manager devono emergere come icone, un continuo esercizio di pubbliche relazioni sia nella pianificazione delle partite che nelle campagne acquisti. La questione è se ci sia semplicemente uno spazio per una persona con queste qualità nello spietato mondo del calcio inglese”.
In effetti gli attacchi da parte dei media non sono mai mancati, ne scrivemmo anche sul Napolista, ma a El Ingeniero non piace giocare con i giornalisti e neanche con i tecnici rivali (per informazioni, citofonare Mourinho). È abituato alla pressione: “Un tecnico che ha lavorato in grandi squadre argentine può allenare ovunque. Qui la pressione è normale, lì è la vita e la morte. A Madrid (dove Marca promosse e cavalcò una dura campagna contro il tecnico) è più politica. Ma non ho mai avuto paura”.
Per chi allena top club la pressione è sempre la stessa, se non hai le spalle abbastanza larghe per sopportarla rischi di essere schiacciato.
Lo scorso anno ha dimostrato ampiamente di poter reggere l’urto. Il Manchester City ha espresso per larghi tratti della stagione un gran bel calcio, dimostrando tenuta mentale e vincendo meritatamente il titolo. Ci sono diversi modi per farlo. Pellegrini si è mostrato fedele alla sua filosofia del jugar bien es ganar, proponendo un calcio attraente, con uno stile di gioco ben definito e tanti gol (102, solo in campionato).
Se vincere è facile, ripetersi è difficile. Il Manchester City è evidente crisi di gioco e di risultati. Quella nel derby è stata la sesta sconfitta nelle ultime otto partite. Cosa sta succedendo alla squadra di Pellegrini? Le spiegazioni possono diverse.
Per Gary Neville, il City ha un problema di mentalità. «Non sono in grado di sopportare e gestire il successo. Quando si vince un campionato, devi essere pronto per ricominciare e mostrare la stessa voglia. Il City non lo sta facendo. Come quegli scalatori che arrivati in cima alla montagna, si fermano e dicono “Uff, ce l’abbiamo fatta.” È la cosa peggiore che possa accadere.»
In una lunga e corposa analisi, apparsa sulle colonne dei Mail, Joe Bernestein ha elencato i 5 problemi che affliggono i citizens:
1) Manuel Pellegrini, olistico ma insipido. Dopo gli anni di Mancini, il City scelse un manager “olistico”: calma, esperienza, diplomazia e un buon percorso in Europa. Ora però Pellegrini è noioso, poco entusiasmante, tatticamente rigido e incapace di portare il club oltre i sedicesimi.
Soluzione: Pellegrini è un uomo rispettabile, ma non basta ad ottenere risultati. C’è bisogno di un tecnico meno “olistico” e più forte. Tatticamente è troppo testardo. Ancelotti potrebbe essere un’idea, ma è un po’ laissez-faire. Un’altra soluzione può essere un anno di Benitez, in attesa di Guardiola.
2) Una squadra datata, Kompany e gli altri in declino: dopo essere stato penalizzato dal FPP a causa delle spese folli, il City ha avuto grosse limitazioni sugli acquisti. Per questo motivo non ha potuto ringiovanire una rosa con un’età media di 29 anni e mezzo (tra gli 11 titolari del derby solo Aguero, 26, ed Hart, 27, ne avevano di meno ndr). Kompany dopo l’infortunio di dicembre è tornato nervoso e appesantito (domenica è stato ammonito e sostituito all’intervallo). Yaya Tourè è solo un lontano parente del giocatore devastante che trascinò la quadra verso il titolo. Se Milner, giocatore simbolo per Pellegrini con big balls, cuore e determinazione, in scadenza di contratto dovesse lasciare a fine stagione, non ci sarebbero più giocatori inglesi nel City ad esclusione di Hart.
Soluzione: ringiovanire la rosa, con acquisti costosi ma di sicure prospettiva come Sterling, Pogba e De Bruyne.
3) Campagna acquisti, 40 milioni per Mangala non è stato conveniente: Pellegrini e i giocatori del City spesso ricevono molte critiche, ma sarebbe sorprendente se ad Abu Dhabi non venisse valutato il lavoro dell’ad Soriano e del ds Begiristain. Tutti i giocatori più importanti della squadra (Hart, Aguero, Kompany, Tourè e Silva) sono stati acquistati prima del loro arrivo. Mangala, Fernando e Jovetic sono enormi delusioni. Negredo è tornato in Spagna dopo una stagione, Bony è appena arrivato. Questo quintetto è costato più di 100 milioni di sterline con impatto minimo.
Soluzione: il City deve dimenticare qualsiasi idea di replicare Barcellona, concentrarsi sulla costruzione di una squadra ben equilibrata ed evitare di strapagare giocatori di fascia media.
4) Mancanza di talenti fatti in casa, nessuno è emerso dopo Richards. Il City era invidiato per il suo vivaio. Il vecchio Platt Lane è stato sostituito da Etihad Campus. Dal 2008 nessuno è stato promosso in prima squadra, quelli più promettenti sono in prestito all’estero, mentre il club continua a comprare giocatori affermati per la prima squadra.
Soluzione: serve un cambio di atteggiamento. Dopo aver investito milioni nella ricerca dei migliori giovani, ora bisogna dar loro una chance in prima squadra. Sicuro che farebbero peggio degli altri?
5) Denaro vs. spirito di squadra. I giocatori non sempre mettono il City al primo posto. In molti modi, i milioni e milioni di Abu Dhabi creano diversi problemi. Il club ha avuto difficoltà in Champions e ha comprato i giocatori più costosi per competere. Offrendo enormi stipendi, si attraggono giocatori unicamente interessati ai soldi. Non dimostrano attaccamento al club, mettendo al centro i propri interessi commerciali.
Soluzione: il City deve essere più duro con i suoi giocatori che devono mettere al primo posto il bene del club. Tra un community event e un incontro con lo sponsor non ci devono essere dubbi.
I media inglesi scommettono sull’esonero di Pellegrini nonostante abbia ancora un anno di contratto. Il tecnico del City si rifiuta di commentare qualsiasi speculazione circa il suo futuro. ”Vincere è l’unico modo per cambiare la nostra situazione”. Rispetto all’età avanzata della squadra, il cileno sembra respingere le accuse sostenendo che a Capodanno la sua squadra di “anziani” era a pari punti in testa alla classifica, non può diventare troppo vecchia nel giro di tre mesi. ”Potete dire che siamo in questa situazione perché c’è mancanza di idee, perché non finalizziamo e potete accusarci di scarsa precisione nei passaggi, ma se tu guardi la quantità di possesso palla che noi abbiamo e la capacità di recuperarla, non penso che una squadra stanca potrebbe farlo”.
Il City con Pellegrini ha vinto ma non è riuscito a completare la sua evoluzione. Rimane un amalgama mal riuscito. Un gigante dai piedi d’argilla, eccessivamente legato ai guizzi di singoli campioni della sua rosa, non più risolutivi in quanto appesantiti dall’età e appagati parzialmente dai recenti successi.
L’amministratore delegato Soriano difende la squadra nonostante le sconfitte. «Il club mai, mai abbandonerà la sua filosofia di gioco. Il nostro è un progetto globale che si sta sviluppando in tutto il mondo, da New York a Melbourne. C’è un nucleo di valori che noi tutti abbiamo, così come un nostro credo. Vinciamo e perdiamo, ma non dobbiamo mai abbandonarli (i valori). Proponiamo sempre un calcio offensivo, cerchiamo di tenere la palla, facciamo pressing per recuperarla, giocando con una linea difensiva alta. È necessario che si metta il cuore, un qualcosa che non può essere acquistato con un sacco di soldi. Penso che il calcio è una metafora della vita, la vita in 90 minuti, la vita in un breve spazio.»
Il dirigente spagnolo dei citizens in virtù dell’omonimia con il più noto Osvaldo, si prende una licenza poetica per dirci: anche i soldi hanno un’anima.
Alfonso Noël Angrisani