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Roma-Napoli è dura da mandar giù, per più motivi. Consoliamoci con Nick Hornby

Roma-Napoli è dura da mandar giù, per più motivi. Consoliamoci con Nick Hornby

Ci sono partite che è dura mandare giù.

Ci sono pomeriggi allo stadio che ti sembrano surreali.

Ci sono risultati che ti colpiscono come un colpo alla bocca dello stomaco, ti tolgono il fiato e ti fanno male.

Per tante ragioni, sia sportive che, purtroppo, extrasportive, Roma-Napoli era una partita carica di significati, un match che nel giochino mediatico de “è come una finale” era facile perdere già in partenza perché obbligarsi ad un unico risultato è un po’ come camminare sul filo del trapezio senza rete e senza essere trapezisti.

Così la partita è stata un chiaro esempio della tensione, uno stadio intero che per 85 minuti non ha mai incitato la sua squadra ma solo vomitato insulti sugli avversari. Lunghi tratti di silenzio hanno accompagnato la gara, un aspetto non sorprendente visto che comunque gli spalti erano semivuoti.

E poi il gioco. Per uno spettatore neutrale la gara è stata godibile, con tante occasioni, giocate pregevoli e nella fase centrale anche frequenti ribaltamenti di fronte.

Per un tifoso della Roma, la partita è stata soprattutto sofferta, la squadra non è riuscita ad esprimere il gioco veloce e spettacolare che l’ha resa grande nella passata stagione, ed è stata spessa costretta a difendere negli ultimi venticinque metri. Però ha segnato. Un gol l’ha fatto e per oggi tanto basta per esultare alla fine e forse vedere la luce in fondo al tunnel.

Per un tifoso del Napoli invece forse non c’è l’arrabbiatura dei punti persi a Palermo, Verona, Torino o contro l’Atalanta, ma resta quella sensazione di incompiutezza in campionato. La squadra ha creato molto, non sempre è stata lucida nell’ultimo passaggio, ma è riuscita a produrre almeno quattro o cinque nitide palle gol. Non è riuscita a segnare però, e questo cambia ogni prospettiva. A maggior beffa ha subito un gol come tanti altri in questa stagione con un pallone perso in impostazione a metà campo con la squadra in transizione tra fase passiva e fase attiva.

Come ricordano spesso quelli che il calcio lo studiano sul serio, alla fine si tratta di un gioco semplice: vince chi segna un gol in più dell’avversario, e di conseguenza vince chi commette meno errori decisivi nelle due fasi del gioco. Gli azzurri purtroppo (lo dicono le statistiche) concedono agli avversari almeno un errore decisivo in difesa in ogni partita, errore che quasi sempre viene trasformato in rete. Nelle occasioni in cui però il Napoli è lucido in fase offensiva, questi errori vengono compensati dall’enorme produzione offensiva, che consente di siglare più reti a partita. Tuttavia, tirando le somme, gli errori in attacco pesano quanto quelli in difesa e in questo campionato di Serie A i partenopei hanno finito con il raccogliere in termini di punti, meno di quanto forse avrebbero meritato.

Ma è il calcio, e si deve accettare il risultato del campo anche quando ci è sgradevole, anche quando pensiamo sia ingiusto.

Tutti i discorsi che si fanno dopo (la formazione, i cambi, il turnover, etc) sono solo figli del comune desiderio di immaginare che sarebbe potuta andare diversamente, di pensare che trovando una colpa o un colpevole si possa in qualche maniera cambiare il risultato o riscrivere il futuro. Ma dopo che una cosa è avvenuta quale è il senso di gridare “io l’avevo detto che si doveva fare questo o quello!” se non la piccola gratificazione del proprio ego?

Alla fine forse diamo al calcio un peso enorme nelle nostre vite, e scopri che alla fine forse aveva ragione Nick Hornby in Fever Pitch: 
Il calcio ha significato troppo per me e continua a significare troppe cose. Dopo un po’ ti si mescola tutto nella testa e non riesci più a capire se la vita è una merda perché l’Arsenal fa schifo o viceversa. Sono andato a vedere troppe partite, ho speso troppi soldi, mi sono incazzato per l’Arsenal quando avrei dovuto incazzarmi per altre cose, ho preteso troppo dalla gente che amo.

Okay, va bene tutto! Mah, non lo so, forse è qualcosa che non puoi capire se non ci sei dentro. Come fai a capire quando mancano tre minuti alla fine e stai due a uno in una semifinale e ti guardi intorno e vedi tutte quelle facce, migliaia di facce stravolte, tirate per la paura, la speranza, la tensione, tutti completamente persi senza nient’altro nella testa.

E poi il fischio dell’arbitro e tutti che impazziscono e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un momento cruciale in tutto questo rende la cosa speciale, perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?

E la cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente, c’è sempre un’altra stagione. Se perdi la finale di coppa in maggio puoi sempre aspettare il terzo turno in gennaio, che male c’è in questo? Anzi, è piuttosto confortante, se ci pensi.
Andrea Iovene

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