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Athletic Bilbao-Barcellona, inno a rischio fischi. Non solo Napoli, i casi di Bastia e Liverpool

Athletic Bilbao-Barcellona, inno a rischio fischi. Non solo Napoli, i casi di Bastia e Liverpool

Inni, fischi e coppe nazionali. È questione che i lettori del Napolista conoscono bene, fummo tra i pochi (insieme al Corriere del Mezzogiorno) a porre l’attenzione su quanto accadde durante la finale di Coppa Italia nel 2012 contro la Juventus. I giudizi sui fischi all’inno nazionale cantato da Arisa divisero opinione pubblica. Per il sociologo Domenico De Masi, chi fischiava lo faceva «contro la classe politica, la crisi economica, la mancanza di lavoro e l’evasione fiscale». Claudio Botti, avvocato e tra i fondatori del Te Diegum, non giustificò quei fischi ma li condivise :«Sì, perché – come diceva Maradona – ci si ricorda dell’unità nazionale solo per le grandi competizioni, ma quando i napoletani sono insultati negli stadi di tutt’Italia invece nessuno condanna chi lo fa. Si ribellano all’isolamento. Sono insultati perché cittadini di Napoli, non in quanto tifosi». C’è chi come lo storico Paolo Macry invitò a non fare simmetrie con la Lega Nord: «Al Sud prevale piuttosto una critica, facile e corriva, del potere pubblico, dei partiti e della politica. Segno dell’atteggiamento bifronte che le popolazioni meridionali hanno nutrito nei confronti dello Stato fin dai tempi dell’ancien regime.» Infine il presidente del Coni Petrucci bollò quei fischi come: «una dimostrazione pessima di incultura e becerume».

Le motivazioni, dunque – volendo parafrasare Pirandello – erano una, nessuna e centomila.

Fu un tema che tornò nuovamente d’attualità lo scorso anno, Il Napolista chiese ai tifosi di non fischiare l’inno, cosa che puntualmente avvenne. La questione fischi fu giustamente ignorata a seguito dei tragici fatti di Tor di Quinto, che portarono prima al ferimento e poi alla morte Ciro Esposito.

Quella dei fischi all’inno durante le finali di coppa e identità nazionale non è questione unicamente italiana, ma investe anche Francia, Spagna ed Inghilterra.

Francia

Al centro delle polemiche spesso c’è lo Sporting Club de Bastia, città della Corsica. Durante la finale della Coupe de France, l’11 maggio 2002 contro i bretoni del Lorient, i tifosi còrsi fischiarono la Marsigliese scatenando le ire di Chirac. L’allora presidente francese abbandonò la tribuna d’onore sdegnato: «È inammissibile e inaccettabile, il presidente della Federazione calcio deve chiedere scusa alla Francia che è stata umiliata, è un gesto antinazionale, la partita non può iniziare senza scuse.» Come riportano le cronache dell’epoca, le scuse di Claude Simonet arrivarono immediatamente, ma ci volle mezz’ora per ritornare alla calma. Una tranquillità apparente, perché appena la partita riprese, mentre i tifosi del Lorient cantavano la Marsigliese, quelli del Bastia fischiarono. Al termine della sfida il presidente del Bastia si precipitò a porgere le scuse a Chirac.

«Fischieremo l’inno nazionale ogni volta che sarà suonato – disse una tifosaSiamo oppressi dallo Stato francese.»

Alla base delle proteste c’è dunque una richiesta inevasa d’indipendenza e ostilità verso la Francia, che spesso sfocia in veri e propri incidenti come accaduto recentemente. L’11 aprile, poco prima della finale di Coupe de la Ligue contro il PSG a Saint-Denis. I tifosi del Bastia hanno avuto diversi scontri con la polizia, lasciando numerosi segni del loro passaggio: “Francais de merde”.

Spagna 

Il 30 maggio in finale di Copa del Rey si affronteranno per la terza volta in sei anni Barcellona ed Athletic Bilbao. Le squadre sono entrambe espressione di due regioni, la Catalogna e i Paesi Baschi, che hanno come mission l’indipendenza e difficilmente si riconosceranno nella Marcha Real. A Madrid, capitale geografica ma sopratutto politica della Spagna, c’è grande preoccupazione, considerando quanto accaduto nel recente passato.

Nella finale del 13 maggio 2009, appena iniziò a suonare l’inno, bordate di fischi si levarono dalle tribune del Mestalla. L’incontro fu trasmesso da TVE (emittente di stato) che decise di non diffondere in diretta los pitos al himno, interruppe il segnale dal campo e si collegò con le strade di Barcellona e lo stadio del Bilbao. Per questo motivo scoppiò un putiferio, TVE decise di trasmettere l’inno nell’intervallo della partita, depurato però dai fischi. Il caos generato da quest’episodio accese lo scontro politico e portò al licenziamento di Julian Reyes, responsabile dello sport per la tv di stato, che solo l’anno scorso è stato reintegrato.

Il secondo incontro tra catalani e baschi vi fu il 25 maggio 2012, questa volta al Vicente Calderon di Madrid, in una “triangolazione” da brividi. Il clima era stato reso ancora più incandescente dalla proposta di Esperanza Aguirre, presidente della Comunità autonoma di Madrid, di giocare a porte chiuse o sospendere la partita in caso di offesa alla bandiera. La RFEF – Real Federación Española de Fútbol – aveva preparato diverse casse audio da 100 mila watt per pompare l’inno nazionale, andato in onda nella versione ridotta di 20 secondi, e coprire così i fischi. Tutto questo però non bastò.

La questione è tornata nuovamente al centro dibattito in queste settimane, El Pais ha pubblicato un editoriale dal titolo “El futbol és el futbol” in cui invitava Barça e Athletic a rispettare il re e l’inno nazionale. «Le finali di coppa dovrebbero essere la celebrazione per eccellenza del calcio spagnolo. L’apatia di alcune autorità sportive e la perniciosa interferenza della politica sta trasformando la festa in un evento controverso. Non sporcate il calcio.» Il 30 Maggio la sfida si giocherà al Camp Nou, dopo l’indisponibilità (non sono chiari i motivi, anche se forse facilmente intuibili) del Real Madrid a concedere il Santiago Bernabeu.

Inghilterra

«Noi non siamo inglesi, siamo scouse / Puoi metterti la royal family su per il culo»

Se le ragioni, piuttosto note, dei fischi alla Marsigliese ed alla Marcha Real affondano le radici in nell’agognata indipendenza politica, amministrativa e territoriale. Meno conosciute ed indagate sono le motivazioni per cui i tifosi del Liverpool fischino God save the Queen (nel 1965 diventò God save our gracious team), ripudino la corona inglese e si sentano scouser.

Con il termine scouse, già accennato a proposito del libro di Benitez, si fa principalmente riferimento all’accento degli abitanti di Liverpool, da qui scouser. Come spiega Giovanna Marotta, nella rivista “Studi e saggi linguistici”, l’origine del termine è molto probabilmente legata alla pronuncia degli immigrati irlandesi che giunsero in tutto il Merseyside, in particolare nel XIX secolo. Nel lungo saggio si cita l’ultimo censimento effettuato nel 2001 che evidenzia come circa il 60% di tutti i Liverpudlians hanno origini irlandesi o almeno in un ramo familiare. «Poiché la comunità immigrata irlandese era relativamente chiusa e caratterizzata da legami interni forti, ha potuto conservare facilmente e a lungo i tratti distintivi della propria pronuncia dell’inglese, riducendo al massimo la contaminazione con la popolazione autoctona». 

L’accento e l’origine irlandese degli abitanti di Liverpool (la capitale d’Irlanda per alcuni commentatori) sono fattori che sicuramente aiutano a comprendere il perché di quest’avversità, ma non sono sufficienti. Il rapporto tra Liverpool e il resto del paese è stato plasmato e definito dall’idea di un gruppo straniero all’interno del corpo politico dell’Inghilterra. Sono stati spesso trattati in maniera differente, accusati di autocommiserazione. I crimini commessi a Liverpool avevano un eco maggiore nel paese, la città è sempre stata raffigurata come selvaggia e violenta.

Solo negli anni 60, grazie ai Beatles, la percezione è cambiata. L’accento scouse non era più considerato rozzo e volgare.

Come spiega però Carragher (nato a Bootle, città di 70 mila abitanti lontana 4 miglia da Liverpool) in “Carra: my autobiography“, negli anni 70 e 80 il processo di alienazione del Merseyside rispetto al resto del paese, si acuisce. «La sindrome del “noi” e “loro” si sviluppa e cresce. Mentre negli anni ottanta la città di Liverpool come città ha sofferto di una dura crisi economica – in particolare la disoccupazione – la nostra squadra era la migliore in Europa. Solo in questo campo il governo conservatore della Thatcher non poteva colpirci. Il calcio era l’unico modo per non farci calpestare. L’identità del club era legata alla reputazione della città».

I Reds erano diventati i portabandiera dell’identità cittadina, la lontananza dal potere politico ha permesso di costruire quell’unità d’intenti tra la città e la squadra di calcio. Questo legame diventò ancor più forte dopo la strage di Hillsborough del 15 aprile 1989 in cui persero la vita 96 persone. Per oltre vent’anni i sostenitori del Liverpool furono ritenuti responsabili della tragedia, in particolare The Sun arrivòcon una prima pagina dal titolo inequivocabile, ad accusare alcuni tifosi di aver rubato i portafogli e urinato sui cadaveri. Da quel giorno il quotidiano sarà boicottato in tutta la città. Solo pochi anni fa, una commissione d’inchiesta presieduta dal vescovo di Liverpool ha reso noti migliaia di documenti riservati che mostrano le pesanti responsabilità delle forze dell’ordine e dei soccorsi, costringendo il premier Cameron a doppie scuse nei confronti di tifosi e familiari delle vittime.

Alla morte di Margaret Thatcher, il 13 aprile 2013, i tifosi del Liverpool mostrarono disprezzo nei confronti della principale responsabile, ai loro occhi, del depistaggio sulla tragedia di Hillsborough.

Per questi motivi, il solco politico tracciato tra Liverpool e il resto del paese non è solo metaforico. Un distacco che, come scrive Joel Rookwood in ‘We’re not English we are Scouse!’ Examining the identities of Liverpool Football Club supporters, trova la sua piena manifestazione durante la Coppa Uefa 2000/2001 in seguito alla percezione di una crescita di “new consumer” tra tifosi del Liverpool. I custodi dell’ortodossia identitaria, gruppi e movimenti come il KFS – Keep Flags Scouse (sostituito nel 2008 dallo Spirit of Shankly) e il RTK – Reclaim the Kop, ebbero non poco imbarazzo nel vedere sventolare le bandiere di San Giorgio da parte di nuovi fan. Fu riferito che durante la finale di Coppa Uefa, queste bandiere furono prese e distrutte per violazione del Boss Wednesday Agreement, un accordo tra i gruppi dove si prescriveva il solo utilizzo di bandiere scouser.

Questo sentimento ebbe una eco maggiore il 1° maggio 2007, mezz’ora prima della semifinale di Champions League contro il Chelsea, quando la Kop srotolò uno striscione divenuto poi celebre “We’re not English, we are Scouse”. Carragher spiegò come quello tra Liverpool e Chelsea (squadra ricca della capitale londinese), fosse «uno scontro tra la tradizione calcistica e il ricco arrogante. Noi celebriamo le nostre radici operaie, loro no, si comportano come delle celebrità. Noi siamo tenuti a rispettare un insieme di valori – le leggi di Shankly – e di mostrarci umili in una città dove essere appariscenti è malvisto». 

A quasi dieci anni dai primi vagiti anti-inglesi,la protesta scouser raggiunse il suo punto più alto. Il 5 maggio 2012 a Wembley per la finale di FA Cup contro il Chelsea, i tifosi del Liverpool fischiarono l’inno nazionale. David Prentince sul Liverpool Echo spiegò che erano fischi di una città in sintonia il suo diritto alla ribellione. Gli scousers sono sempre stati bellicosi anti-conformisti. Questi fischi rappresentavano una protesta contro l’establishment, erano diretti verso coloro che hanno coperto la verità su Hillsborough e continuano a farlo; per coloro che hanno accettato il “declino controllato” del Merseyside negli anni 80, da sempre considerata una nazione a parte.

È facile comprendere il perché sia servito lo scouser Benitez per difendere Napoli.
Alfonso Noël Angrisani

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