Qualche anno fa un economista (Tobias J. Moskowitz) ed un giornalista sportivo (L. Jon Wertheim) scrissero un libro molto interessante: “Scorecasting: The hidden influences behind how sports are played and games are won” (in Italia l’avrebbero tradotto con un titolo improbabile tipo “è facile vincere in casa se sai come farlo”).
Il libro metteva a paragone i risultati di molte squadre, in sport diversi e nazioni diverse e giungeva alla conclusione che il “fattore campo”, in realtà, era costituito essenzialmente dall’influenza che il pubblico riusciva ad esercitare sugli arbitri.
Il libro suscitò un interessante dibattito (all’estero, in Italia se ne arrivò solo qualche eco), all’esito del quale le conclusioni degli autori furono giudicate incomplete, se non inadeguate, apparendo innegabile il fatto che, specialmente negli sport di squadra, la capacità di coinvolgimento ed il sostegno dell’ambiente e del tifo costituiscono un valore aggiunto per chi ne beneficia.
Nessuno si è mai sognato di sostenere che il tifo trasforma i brocchi in campioni o viceversa. Ma siamo, credo, tutti d’accordo che un pubblico caloroso e ben disposto aiuta (e, perché no, influenza anche un po’ l’arbitraggio).
E allora, mentre la stagione del Napoli volge al termine, proviamo a vedere un po’ se il pubblico è stato di aiuto oppure no per la squadra.
A scanso di equivoci, viste le critiche che vengono rivolte al sottoscritto ed alla testata che ospita le cose che scrivo, chiarisco subito che giudico la stagione del Napoli sufficiente. La squadra, secondo me, aveva la possibilità di fare qualcosa in più. E’ arrivata nelle prime 4 in tutte le competizioni che ha giocato, ma l’uscita dalla coppa Italia e dalla Europa League lasciano qualche rammarico, come anche parecchie prestazioni non all’altezza in campionato.
Detto questo, dopo l’incredibile episodio dell’esultanza di alcuni “tifosi” dopo il gol del Cesena al San Paolo, mi pare giusto concludere un ragionamento che avevo iniziato in occasione della prima partita casalinga di quest’anno, quella contro il Bilbao.
Nel corso della stagione non ho avvertito quasi mai il pieno sostegno alla squadra, forse solo in occasione della partita con la Juventus.
Per il resto, nonostante il Napoli sia andato avanti nelle coppe e, bene o male, sia ancora in corsa per un posto in Champions League, non si contano le occasioni in cui gli spalti sono rimasti desolatamente vuoti.
Le curve si sono spesso distinte per contestazioni assurde (a partire dal famoso: 77 togliti la maglia, indirizzato a Gargano che in quel momento era un punto fermo della squadra).
Le “coreografie”, se così vogliamo chiamarle, hanno preso oramai la strada dell’autoreferenzialità totale. Una anticipazione l’avevamo già avuta l’anno scorso contro il Borussia, con uno striscione raffigurante un losco figuro nell’intento di schiacciare un pallone con il piede. Quest’anno con il Dnipro siamo andati oltre: la curva B ha esposto un inquietante Hannibal Lecter che sovrastava l’invito (in napoletano sgrammaticato) a mangiarsi gli avversari, mentre la curva A ha farneticato di rese, imprese e ultimi baluardi, dove questi ultimi sarebbero i tifosi.
Contro il Cesena, poi, la scritta (rigorosamente in rima baciata, mi raccomando): “se questo è il vostro impegno, non meritate il nostro sostegno”, con riferimento alla semifinale contro il Dnipro.
Peccato che i giocatori non espongano striscioni, mi sarebbe piaciuto vedere Hamsik e compagni entrare in campo con un bel “durante la stagione da soli ci avete lasciato, la finale non avete meritato”. Oppure: “sfogate da un’altra parte” o, ancora, “sapete solo insultare e fischiare, dall’Europa imparate a tifare”.
Sì, perché in Europa il Napoli ha ricevuto almeno due grandi lezioni di tifo. La prima a Bilbao e la seconda a Wolfsburg.
Comunque la si pensi su Benitez e Higuain, i cui limiti pure si sono evidenziati nel corso di questi mesi, la lezione da imparare è, a mio modestissimo modo di vedere, quella di Anna Trieste: “se l’ammore mio tiene problemi di natura finalizzativa io più che contestarlo vedo come fare per riavviare il fattapposta”. Si vede che a Napoli il fattapposta non lo vogliamo riavviare, si vede che, alla fine, siamo più contenti quando perdiamo.
Fabio Avallone