Caro Napolista, confesso che non avrei scommesso un pallone bucato sul possibile accordo tra De Laurentiis e Benitez: ma sarà vero?
In soldoni, il signor Introno si chiede come mai il Napoli non giochi sempre come contro la Roma o il Wolfsburg. E in fin dei conti si dà anche una risposta: giocano bene quando il presidente li prende con la mazza. E, soprattutto, spiattella apertamente la verità di tanti tifosi: conta solo lo scudetto.
Io rispondo nella consapevolezza che non riuscirò a convincere né lui né altri.
Personalmente sono sconcertato dalle reazioni alle sconfitte. Da parte di tutti. Tifosi illustri, meno illustri, opinionisti, tutti. Braccia alzate e peana quando si vince, processi quando si perde. Come se vittoria e sconfitta non rientrassero in un unico percorso. Un percorso che si è definito di crescita e che tiene conto della, appunto, crescita complessiva della squadra, del brand Napoli.
Nello sport hanno perso tutti. Qualche fisiologica eccezione c’è, Rocky Marciano ad esempio, ma diciamo che la sconfitta è elemento connaturato allo sport. Sconfitta la cui accettazione oggi è praticamente espunta dal vocabolario giornalistico. E si perde, in genere, perché l’avversario in quella occasione si dimostra più forte, più attento, più coriaceo, più intenso. Come è stato l’Empoli giovedì sera, un Empoli che ha giocato e corso come se non ci fosse un domani.
Ma veniamo alle domande. Perché il Napoli non gioca sempre con la stessa intensità? Perché è naturale. Perché nessuna squadra gioca con l’intensità che noi abbiamo mostrato quest’anno contro la Roma (surclassata senza ritiro punitivo), Inter in casa, Wolfsburg, Sampdoria, ma anche Torino e Verona in casa e qualcuna certamente mi sfugge. Non dico Trabzonspor né Dinamo Mosca perché sono considerate squadrette. Non è la Playstation, è un gioco con calciatori, persone umane, che possono avere cali fisici o di tensione.
Ho parlato prima di processo di crescita. Il Napoli è la squadra italiana che ha giocato più partite di tutti quest’anno. Cinquantadue. Stasera col Milan diventeranno 53 e sicuramente alla fine saranno 59. La Juventus ne ha giocate 49 e se tutto le dovesse andare bene, ne giocherà 57. La Fiorentina oggi arriva a 50. La Roma è ferma a 45. Con la Lazio scendiamo a 39. Anche questo, che piaccia o no, rientra in un processo di crescita. Il Napoli quest’anno ha giocato cinque competizioni. È la seconda squadra italiana nel ranking Uefa.
Purtroppo tutto questo interesserà sepre poco fin quando il centro di gravità permanente dei desideri del tifoso sarà il campionato. La stessa Europa League, come emerge dalla lettera, è considerata uno scarto. Ma è difficile che una società, un’azienda, modifichi le proprie strategie perché i tifosi la pensano diversamente.
Questione ritiro e mazza e panella. La scorsa estate i tifosi della Juventus si disperarono per l’addio di Antonio Conte. Convinti che senza di lui, senza la sua grinta, il suo sbracciarsi, le sue motivazioni, la Juventus non avrebbe mai vinto. La realtà ha dimostrato il contrario. La Juventus di Allegri ha vinto lo scudetto, è in finale di Coppa Italia, ha perso la Supercoppa solo ai rigori, ed è in semifinale di Champions League. Una stagione così Antonio Conte non l’hai mai avuta coi bianconeri. È ora di finirla. Se le vittorie dipendessero dallo sbraitare in panchina, Carletto Mazzone (grandissimo, per carità) avrebbe vinto dieci Champions. Ma com’è possibile che un simile pensiero possa mietere ancora tanto consenso? Ancelotti forse si sbraccia? Guardiola fa il pazzo? Del Bosque dà di matto? Ormai oggi, grazie alla tv, è possibile guardare le partite di tanti campionati così come delle coppe e non è difficile farsi un’idea.
Purtroppo da noi si fa una fatica enorme a considerare lo sport, il calcio, una disciplina. Si fa fatica a comprendere che chi allena, studia da anni, incrocia dati, si aggiorna. Questo vale non solo per Benitez. Il dibattito è fermo al codice binario: sconfitta/vittoria. Il giornalismo sportivo non aiuta affatto. Non si capisce perché il giornalismo sporitvo si stia riducendo a inseguire gli umori dei tifosi rinunciando al ruolo di guida. E il risultato è una perenne e cronica scontentezza che cozza col motivo che dovrebbe spingere a seguire lo sport (oltre che a praticarlo).
Massimiliano Gallo