Proprio come oggi anche se è un altro calcio. Anche in quella stagione il Napoli aveva il cerchietto della vittoria in Coppa Italia sulle maglie ma era, di diritto, iscritto al torneo della Coppa delle Coppe a cui partecipavano tutti i vincitori delle coppe nazionali. Una bella kermesse, forse più importante della stessa Coppa Uefa. Proprio come oggi, prendere parte a una manifestazione europea significava prepararsi a dovere, fare un altro tipo di mercato e avere una rosa più vasta del solito visti i numerosi impegni. Il nuovo attacco del Napoli, che aveva dato via i pupilli di Vinicio, ovvero Sperotto e Boccolini, si reggeva sui nuovi acquisti di Chiarugi e Speggiorin che, a turno, avrebbero dovuto appoggiare il tandem Massa-Savoldi. Quell’attacco prometteva, sui giornali, gol a grappoli alla vigilia della partecipazione al torneo continentale che fu preparato da varie amichevoli con squadre straniere proprio per misurasi con altri tipi di calcio. Nelle amichevoli estive passarono dalle nostre parti il Nacional di Montevideo, i rumeni del Galatzi e gli austriaci del Grazer. Poi si fece sul serio con il primo turno in Norvegia col Bodoe Glimt (a settembre i giocatori arrivarono nel Nord Europa con i cappotti stile Totò e Peppino a Milano e lo stesso “Petisso” rispolverò il suo vecchio cappotto di cammello), a Cipro con l’Apoel per gli ottavi, in Polonia con lo Slask Wroclaw per i quarti. Fino all’attesissima gara con i detentori della Coppa, i belgi dell’Anderlecht.
E raccontiamole quelle due semifinali, 6 aprile in casa e 20 aprile 1977 in trasferta, perché non sono solo sugli almanacchi del calcio ma anche nel cuore di ogni tifoso azzurro. La grintosa mascella protesa nello sforzo del tiro di destro, il ghigno del terzino, il pallone calciato con prepotenza dopo aver rubato lo spazio di un mezzo metro all’avversario e sfera in fondo al sacco. Questa immagine del gol di Bruscolotti, che diede la vittoria al Ciuccio a ‘8 minuti dal termine, la ricordo bene perché di quell’attimo esistono foto da varie angolazioni e poi perché una rete così, di un difensore considerato ruvido, contro i mostri del calcio totale (in quella squadra c’erano Haan, Rensenbrink, Coeck, Van der Elst, Thissen e Broos, mica gli ultimi arrivati!) non si può dimenticare finché campi. Ferlaino volle l’incasso e super incasso fu. Ottantamila presenze e record di paganti battuto rispetto alla sciagurata gara di campionato con la Juventus. Come di consuetudine in quegli anni, soprattutto per la cattiva illuminazione dell’impianto di Fuorigrotta, la gara si giocò di pomeriggio e fu trasmessa dalla Rai ma ovviamente con zona di Napoli esclusa. Altrimenti come faceva l’incasso l’Ingegnere? Ascoltai, dunque, la partita alla radio con giornata scolastica completamente stravolta. Il pomeriggio, quello in particolare, non era destinato ai compiti per il giorno dopo ma a seguire la mia squadra del cuore. Attaccato a una radiolina.
Purtroppo Bruscolotti, autore del gol vittoria e spietato marcatore di Rensenbrink, fu squalificato dall’Uefa e non giocò il ritorno. E che retour match, chi se lo scorda più! Finalmente in tv e ci mancava anche che non la trasmettessero. Bellissime le immagini dei tanti meridionali presenti, attaccati alla rete di protezione dello stadio e pronti a far festa, a sventolare i loro vessilli azzurri, pronti a un riscatto sociale. Loro, i nostri uomini, minatori ed emigranti. Quel mercoledì eravamo tutti in fibrillazione, l’attesa era tantissima e si librava nell’aria, pari forse solo a quello che è accaduto più tardi con il primo turno di Coppa dei Campioni col Real Madrid nel 1987 o alla prima finale di Coppa Uefa con lo Stoccarda due anni dopo.
Allo stadio “Emile Verse” il Napoli rinunciò al catenaccio e partì all’arrembaggio con belle azioni manovrate e ficcanti spiazzando i belgi che non si attendevano quell’inizio. Anche il Napoli del “Petisso” dimostrò, dunque, di saper fare un bel calcio. Ci pensò l’arbitro inglese Matthewson, birraio di professione, a eliminare gli azzurri annullando un regolarissimo gol di Speggiorin a cui si aggiunsero un palo di Esposito e un fuorigioco inesistente fischiato allo stesso Speggiorin, lanciato solingo verso la porta. Tutto accadde nei primi venti minuti e finale che continuò a svanire per un arbitraggio a senso unico che fischiò punizioni incredibili in favore dei belgi. A fine partita Matthewson scappò e andò a chiudersi nella segreteria dell’Anderlecht con Burgnich, indignato e pronto a lasciare il calcio, che lo rincorse chiedendo spiegazioni. Pesaola, in lacrime, ripeteva ai giornalisti con la sua voce cantilenante e quasi in trance: «Non meritavamo di uscire, non è giusto, abbiamo disputato una gara veramente eccezionale. Potevamo vincere e chiudere subito la partita…». Il Napoli, dunque, uscì a testa alta dalla competizione, il sogno terminò con l’amarezza e ci sentimmo tutti vittime di un furto perché ai belgi non riuscì mai, nonostante le tracotanti parole del suo mister Goethals, di mortificarci.
Sul piano personale, forse solo per la retrocessione del 1997-8, ho vissuto momenti di maggiore sconforto calcistico, niente come quell’arbitraggio scandaloso riassume l’essenza dell’amarezza legata ad una sola gara, a soli 90 minuti di gioco, a come le “bizze” (chiamiamole così per comodità) di un uomo possano cambiare il destino calcistico di una stagione, stile gol regolare di Turone alla Juve nei primi anni ’80. E noi in quegli anni eravamo assetati di vittorie come un lupo in una steppa e bramavamo quel risultato eccezionale, se raggiunto, con la grinta di una squadra che purtroppo, fino ad allora, aveva vinto poco e niente. Insomma una cosa è rovinare una stagione alla Juve o all’Inter nell’arco di una sola gara e un’altra è far passare come vittima sacrificale un Napoli che nel cuore dell’Europa capì di essere stato trattato da provinciale. Noi, ex capitale morale e culturale di regni, nazioni, continenti. Noi, finiti nelle grinfie di un potere anglo-fiammingo nella terra dei minatori e della birra. Come c’è da attendersi nella logica del calcio, quella batosta psicologica e morale e non certo tattica (il Napoli aveva dato lezione di calcio ai campioni belgi e olandesi) portò lo sfascio all’interno della squadra. Piovve sul bagnato in quel convulso e nervoso finale di campionato per colpa di un arbitro inglese il cui cognome ricordo ancora oggi. Delle cinque gare che mancavano alla fine del torneo, dopo la semifinale di Coppa delle Coppe, gli azzurri ne pareggiarono una e ne persero quattro. Nervi di Pesaola a pezzi, accuse alla squadra e ciliegina sulla torta nell’ultimo impegno casalingo con la Fiorentina quando un Juliano esasperato lancia il pallone addosso all’arbitro e viene espulso mentre un invasore solitario viene fermato da Carmando e da Massa quando sta per sferrare un pugno alla giacchetta nera. Due a zero a tavolino alla Viola, incontro annullato dal Giudice Sportivo e un punto di penalizzazione da scontare nel prossimo campionato. Magari non so bene chi abbia arbitrato il Napoli domenica scorsa ma quella “giubba rossa” sì che me la ricordo. Ah, Mathhewson, se ti avessi avuto tra le mani quella sera, pezzo di ubriacone venduto a suon di franchi!
Davide Morgera (le foto sono tratte dall’Archivio Morgera)