Si leggono titoli trionfalistici sulla fine del Fair Play Finanziario, ma urge chiarire subito che non è così. I numerosi ricorsi (alcuni dei quali già bocciati in giudizio negli anni scorsi) contro l’applicazione della disciplina del Fair Play Finanziario non hanno finora scalfito la struttura della normativa per la quale l’UEFA ha ricevuto il via libera anche dall’Unione Europea.
La notizia di questi giorni è la concessione di una sospensiva in seguito al ricorso presentato dall’avvocato Dupont (che già vent’anni fa ribaltò il mondo del calcio con la cosiddetta “sentenzaBosman”) per conto dell’agente Striani. L’organo giudicante si è comunque dichiarato non competente e non ha preso alcuna decisione definitiva, ma ha rimandato la decisione alla Corte di Giustizia Europea. L’UEFA ha ovviamente già annunciato ricorso.
Il nodo del contendere è la cosiddetta clausola del “break-evenrule” ovvero quella norma che spinge le società verso il pareggio di bilancio ammettendo un limite massimo alle perdite accumulate nel cosiddetto periodo di osservazione (45 milioni nel primo triennio, 30 milioni nel secondo triennio e poi pareggio). La sospensiva riguarda la soglia fissata di 30 milioni di perdita massima accumulabile nei prossimi tre anni. Questa norma è concepita per impedire ai club di spendere somme ingenti sul mercato senza curarsi delle conseguenze di medio-lungo periodo. Ponendo un orizzonte triennale ed una massima perdita si impone alle società di avere una strategia di spesa e ricavi per restare all’interno dei parametri fissati.
Si tratta ovviamente di una clausola molto restrittiva, per chi fa impresa è naturale programmare la vita dell’azienda secondo cicli temporali più o meno lunghi, all’interno dei quali è possibile anche di prevedere la chiusura in perdita dei bilanci a fronte di investimenti finalizzati a produrre benefici strutturali futuri.L’UEFA tuttavia ha fin dal principio escluso dalla contabilizzazione delle passività le spese collegate a strutture (stadi e centri sportivi) e settore giovanile, tutelando dunque la possibilità di investire liberamente negli aspetti che concretamente determinano la crescita di un club.
Non si può fare a meno di notare che oltre a PSG e City, sanzionati per l’inosservanza parziale delle regole, ci sono club che hanno deciso di svoltare verso una gestione più oculata e virtuosa delle spese come ad esempio gli inglesi del Chelsea. Rispetto ai primi anni della proprietà Abramovi? con spese incontrollate, si è passati ad una gestione più accorta che attraverso operazioni di mercato e cessioni (ad esempio David Luiz, Schurrle, De Bruyne, Lukaku, Cech, etc.) ha consentito di riportare i conti in ordine senza per questo rinunciare ad essere competitivi, mentre si progetta l’ampliamento di Stamford Bridgea dimostrazione che è possibile vincere pur restando all’interno delle regole.
Vista la concomitanza degli eventi si può anche dire che quanto accaduto non c’entra in ogni caso con le operazioni di mercato dell’Inter, che ha già patteggiato con l’UEFA l’impegno a chiudere il bilancio 2016 con una perdita massima di 30 milioni di euro, dunque l’acquisto di Kondogbia è assolutamente possibile, a patto che si proceda al taglio di altri costi, eventualmente anche mediante cessioni illustri.
La partita dunque è aperta, nei mesi scorsi Platini aveva aperto alla possibilità di introdurre modifiche in futuro sulla disciplina del Financial Fair Play, riconoscendo però i grandi risultati ottenuti finora sulla riduzione del deficit complessivo dei club. Dunque qualche aggiustamento sarà pur possibile ma non certo la cancellazione di un sistema volto a rendere il calcio finanziariamente sostenibile a lungo nel tempo.
Andrea Iovene