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Sarri, il sacchiano anomalo che non ripudia il trequartista

Sarri, il sacchiano anomalo che non ripudia il trequartista

«Questo qui è impazzito?». Il labiale di quella che può essere considerata una delle domande retoriche più famose del calcio italiano ha ormai più di vent’anni. Il 23 giugno ne compie ventuno. La frase la mormorò Roberto Baggio nello stadio dei New York Jants quando dalla panchina azzurra vide issare il cartello col numero dieci. Toccò a lui fare posto a Marchegiani che doveva rimpiazzare l’espulso Pagliuca. Così decise l’omino col cappellino. «L’ho fatto per tutelarlo», disse poi Arrigo Sacchi. Cui non mancò il coraggio quella sera. E si giocò il Mondiale un uomo in meno, se lo giocò a modo suo. E, come si sa, la fortuna aiuta gli audaci. L’Italia sconfisse la Norvegia uno a zero. Segnò Baggio, Dino. 

Se mai ci fosse stato qualche dubbio, quella sera anche l’ultimo venne fugato: l’uomo di Fusignano i trequartisti non li ha mai amati. Nel suo calcio non c’è mai stato spazio per loro. La questione non si poneva proprio quando erano dei frombolieri e nulla più, come ad esempio Borghi. Il tema diventava più problematico se il pomo della discordia era Roberto Baggio. Ok gioca, ma non trequartista. Aveva la sua visione del calcio, Arrigo. E ti diceva che non poteva rinunciare a uno che la buttava dentro quasi sempre. Del resto anche di Maradona aveva la sua personalissima visione: “È il migliore di tutti perché sa sempre con un attimo di anticipo dove finisce la palla». Non perché la piazza dove vuole. È il sacchismo, ragazzi. E nel sacchismo non c’è posto per il trequartista. Non sapeva che cosa farsene. Per lui era un uomo in meno. Poi, su un passaggio di Mussi gli evitò lanci di pomodori, ma questa è un’altra storia. Lo ripagò facendolo giocare zoppo. Peccò di riconoscenza e perse la finale.

Ci riprovò con Zola, che lui amava certamente più di Baggio, ma sempre da attaccante. Una volta, anni prima, provò persino a farli convivere relegando il sardo all’ala: Italia-Cipro, seconda partita di Sacchi in Nazionale. Ma non fu cosa. Dopo Usa 94, abbandonò il codino e puntò su Zola. In quell’Europeo del 96 in cui commise l’errore che fu di Icaro. E si bruciò. “Ho il sentore che la carta si è indignata”, scrisse Gianni Mura dopo il massiccio turn over (chissà se allora si chiamava già così) che ci fu fatale contro la Repubblica Ceca di Nedved. E infatti proprio Zola sbagliò il rigore decisivo contro la Germania. A suggello di una relazione mai fortunata con la Nazionale.

Anche a Madrid, in una delle sue ultime apparizioni in panchina, Sacchi fece fuori il fantastista: Juninho, non Pernambucano. Durò poco all’Atletico, si dimise e di fatto disse addio alla panchina. Poi ci fu solo una breve parentesi col Parma. Sempre senza trequartista. È per questo che, a leggere delle presunte pressioni di Sarri per Saponara, la domanda sorge spontanea: ma che c’azzecca il trequartista con un sacchiano? Il trequartista rappresenta una delega che non appartiene al calcio del profeta del 4-4-2. Abbiamo ancora negli occhi la mitologica conferenza stampa in cui citò Bibì e Bobò. Fa’ quello che ti dico io e vinceremo. Ce lo ricordiamo imbufalito come pochi quando Benarrivo sbagliava a salire durante gli allenamenti a Usa 94. «Se sbagli un’altra volta non giochi più». E noi rimanemmo in dieci contro la Norvegia. 

Nel suo Milan non c’era spazio per il trequartista. Non a caso il giovane Ancelotti, inizialmente sacchiano fin nel midollo, da allenatore spinse Zola ad andare via da Parma. Anni dopo ammetterà: «È stato il mio più grave errore, ma allora concepivo solo il 4-4-2». 

Di tempo ne è passato. Sarri è in qualche modo un sacchiano anomalo. Altrimenti non avrebbe virato su derivati del 4-4-2, come il 4-3-1-2 (o il 4-1-2-1-2, a diamante), con Verdi prima e Saponara poi dietro le punte. Eppure facciamo fatica a immaginare un seguace del sacchismo stare lì alle dipendenze di un trequartista. Non riusciamo a figurarcelo. Anche se poi il trequartista ce l’abbiamo. Si chiama Lorenzo.
Massimiliano Gallo

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