
La città ha quasi fatto finta di non accorgersene. Probabilmente un po’ perché crede che in fondo i lavori al San Paolo non cominceranno mai, un po’ (tanto) perché le dichiarazioni di De Laurentiis sulla futura capienza dello stadio di Fuorigrotta corrispondono a un ridimensionamento epocale e a un taglio netto con quella che possiamo definire la tradizionale del pallone a Napoli.
Quarantunomila spettatori. Come lo Juventus Stadium, ci ha tenuto a precisare il presidente. La Juventus, la squadra più odiata a Napoli. E soprattutto un pubblico da sempre considerato impiegatizio, freddo. Insomma, uno specchio in cui nessun napoletano vorrebbe riflettere la propria immagine.
Ma l’elenco di partite con ottantamila e più spettatori è lungo, lunghissimo. Appartiene all’era mesozoica. Prima che Luca di Montezemolo e la sua Italia 90 assestassero il primo colpo al gioiello di Fuorigrotta, con quel terzo anello che venne prontamente chiuso perché provocava forti vibrazioni all’interno delle case adiacenti.
Anche senza la retorica degli ottantamila, finirono dritti in prima pagina i 45mila di Napoli-Cittadella, prima partita del Napoli in serie C. Poi già dalla seconda lo stadio si svuotò, ma per la foto di gruppo Napoli si mise in posa. Le “prime” sono sempre piaciute. Anche quelle europee, dagli albanesi del Vllaznia (Intertoto) al Benfica. Sempre più di cinquantamila i presenti. Furono 52mila per la prima e unica esperienza negli ottavi di Champions League contro il Chelsea solo perché i napoletani dovettero fare i conti con il caro-prezzi (distinti a 100 euro).Poi, paradossalmente, proprio in concomitanza con la crescita del club, il pubblico ha cominciato progressivamente a disertare il San Paolo. Ne abbiamo scritto tante volte sul Napolista, provocando sempre la reazione piccata di tanti tifosi. Per la prima volta la Napoli calcistica si è uniformata a un trend nazionale. Tanti i fattori: la crisi economica, uno stadio non all’altezza (ma in realtà il San Paolo è sempre stato così e nessuno aveva mai fiatato), il dilagare dell’offerta televisiva di pallone. E, soprattutto, una sorta di ultimatum: noi vogliamo vincere, altrimenti restiamo a casa.
Nemmeno l’ultima partita di Champions (due anni fa in casa contro l’Arsenal) è riuscita a richiamare più di quarantamila spettatori (furono 37mila) e lo scorso anno spesso il San Paolo si è spesso presentato semi vuoto. L’altra mattina è comparso uno striscione che attribuiva i buchi sugli spalti del San Paolo alla politica priva di programmazione del presidente De Laurentiis. “Tu non investi, noi non veniamo allo stadio”. Progressivamente abbiamo assistito a uno snaturamento del pubblico di Napoli. A un fenomeno che abbiamo più volte definito di juventinizzazione, di imborghesimento. Certificato dallo schiaffo di pochi giorni fa: il nuovo San Paolo avrà 41mila posti come lo Juventus Stadium.
E mentre la città e la tifoseria prova, in maniera piuttosto pigra e con un po’ di rabbia, a fare i conti con questo ridimensionamento storico, altrove, a Barcellona, per una partita amichevole (il Trofeo Gamper) vinta in scioltezza contro la Roma al Camp Nou si siedono 94mila persone. “Eh, grazie, con Messi e Neymar”. Che da noi, temiamo, non verranno mai.
Massimiliano Gallo