Ha sangue “bustocco” nelle vene e un’atavica idea partenopea in circolo nel sangue, tanto che nel suo album di esordio ha dedicato una canzone ad Higuain (https://www.youtube.com/watch?v=n3M2vQCF5Fo&feature=youtu.be) per celebrare il suo arrivo a Napoli due estati fa. Lui è Alessio Capone, 34 anni, nome d’arte “A Sleepless Mind”, commerciale in una multinazionale e cantautore fin nel midollo. Nato e cresciuto a Busto Arsizio, in provincia di Varese, vive con due gatte in una casa di sessantacinque metri quadri dipinta in sette colori diversi. Dice che a nascere nella provincia bustocca si impara a riconoscere subito il sapore di una giornata uggiosa ma aggiunge che gli piacerebbe provare a vivere a Napoli, nei vicoli del centro storico (“sono caotici, ma mi rilassano”) anche se precisa subito che non è disposto a scegliere tra la pizza e il risotto alla milanese con l’ossubuco: “Sarebbe come chiedermi se voglio più bene a mamma o a papà”.
Le origini del suo amore per il Napoli provengono dal nonno paterno, originario di Dentecane, paese in provincia di Avellino famoso per la produzione di torrone: “Ha portato mio padre a vedere il Napoli negli stadi del Nord quand’era piccolo e mio padre ha fatto lo stesso con me e mio fratello”. Ci parla di un’infanzia e di un’adolescenza vissute in solitudine, unico dei suoi amici a tifare Napoli, e di un solo momento di esitazione, alle elementari. Tutti i suoi compagni giocavano con le figurine del Milan, dell’Inter e della Juve e, sentendosi escluso, comprò l’album dell’Inter con in copertina Lothar Matthaus. Un giorno gli capitò tra le mani una figurina con una scritta ironica contro il Napoli e sentì una stretta allo stomaco: “Capii che l’amore mio mi andava bene anche in un polmone d’acciaio. Buttai album e figurine. Tifare Napoli per me è un motivo di orgoglio, prima di tutto”.
Racconta che quando è stato a Napoli la prima volta è rimasto affascinato da Piazza Bellini: “Sono cresciuto con il falso mito di Napoli e quella piazza fu un calcio in faccia. Davanti ai miei occhi si presentò una città normalissima con ragazzi seduti ai tavolini del bar, madri col passeggino, coppiette straniere che giravano senza scorta – sorride – Credo che i napoletani per primi dovrebbero sentirsi normali. Napoli non è speciale e i napoletani non sono meglio né peggio di tanti altri”.
Ogni partita del Napoli, per Alessio, è come fosse Natale. La famiglia si riunisce a casa dei suoi ed “è esattamente come quando vivevo con loro, riaffiorano persino le storiche dinamiche genitori-figli a ricordarci quello che un tempo era il nostro quotidiano”. Il padre Corrado e il fratello Nicolò sono sul divano davanti, lui si sdraia a terra coi piedi verso la tv. Mamma Grazia serve il caffè. Alessio è contento di Gabbiadini titolare: “Così la smettono di scartavetrarmi gli attributi, compreso mio padre: l’Italia è una Repubblica fondata sugli allenatori da divano”, dice. Al gol di Saponara cerca una giustificazione nel rosso della maglia: “Si è capito che quando la mettiamo abbiamo le nostre cose”. Al gol di Insigne rischia di mandare tutto a fuoco con la sigaretta che gli vola dalle mani. Papà Corrado resta impassibile, ha ancora negli occhi la linea di difesa sbagliata: “Difesa da peracottari”, dice, mentre Alessio aggiunge: “Mio padre merita di più”. Il cane Black abbandona la curva e abbaia perché vuole uscire: “Ha lo stesso tempismo di Maggio”, commenta Sleep poco prima di esplodere all’espulsione di Giuntoli, diventato improvvisamente il suo idolo. Intanto Gabbiadini sviolina la sua poesia (“è un genio”) e Allan va in gol. “Forza, forza! – urla Alessio, mentre Nicolò incita Insigne: è stato seduto solo i primi due minuti, poi l’ha vista tutta in piedi. Pareggio, impietoso risultato finale. Mentre impreca contro l’arbitro Alessio conclude: «È come flirtare con una bella “tusa” senza combinarci nulla. Fa parte del gioco».
Ilaria Puglia