Giuseppe La Mura, il “dottore” che aveva scelto di dedicarsi solo ai pazienti dell’ambulatorio di Castellammare di Stabia ma poi non ha resistito al richiamo della foresta, ha ritrovato il sorriso e, soprattutto, ha ritrovato «i ragazzi che hanno voglia di soffrire per inseguire un grande traguardo». E di vincere titoli mondiali. Sono i ragazzi del “quattro senza” che hanno stupito il mondo e sono stati salutati con un inchino dai campioni inglesi dell’otto. Non era mai successo, Nino, Adele e Carlo Rolandi, rispettivamente genitori e nonno di Matteo Castaldo non hanno retto all’emozione e si sono sciolti in lacrime. Tre di questi campioni – Giuseppe Vicino e Marco Di Costanzo, oltre Castaldo – sono napoletani, il quarto, Matteo Lodo, è di Terracina – stessa latitudine sociale oltre che meteorologica – e la coincidenza inorgoglisce il loro maestro perché la storia nuova ha le caratteristiche esaltanti di quella vecchia legata ai nomi dei fratelli Abbagnale e di Davide Tizzano che hanno aperto la strada con le loro medaglie d’oro. Se poi si aggiunge che il ritorno del “dottore” segue l’elezione ai vertici della Federazione di Peppe Abbagnale e di Davide Tizzano, due gioielli della scuderia La Mura, il conto torna e consente di affermare che la lingua ufficiale del canottaggio italiano è quella napoletana. Il campanilismo non c’entra e nella valutazione complessiva degli elementi che hanno portato, venti anni dopo, alla conquista di un titolo mondiale i richiami alla “fame” di vittoria degli atleti al di sotto del Garigliano e più o meno all’altezza del Lago Patria sottratto definitivamente alla camorra sono importanti per smontare, si spera definitivamente, logori luoghi comuni sostenuti più per confermare l’esclusione che per favorire l’inclusione dello sport meridionale povero di infrastrutture ma più ricco di classe naturale.
Giuseppe La Mura, il medico-coach che ha spazzato via il tabù dell’inferiorità degli atleti “caldi”, meridionali, rispetto a quelli “freddi”, settentrionali. Se leggiamo le cifre senza condizionamenti geopolitici, questa verità, che non piace ai “custodi” del vecchio primato, esce fuori nitida e incontrovertibile: l’esplosione del canottaggio italiano nasce negli anni 90 grazie all’irruzione sulla scena dei fratelloni Abbagnale – tirati su dallo zio Giuseppe solo apparentemente tiranno ma in realtà grande innovatore grazie a una metodologia di allenamenti profondamente innovatrice, diciamo anche rivoluzionaria, rispetto alle teorie del santone norvegese Thor Nilsen e rinasce venti anni dopo, guarda caso in coincidenza con il ritorno clamoroso del settantacinquenne tecnico stabiese-pompeiano che in meno di tre anni dà una scossa delle sue all’ambiente depresso e mette in piedi un “quattro senza” capace di vincere il titolo mondiale assoluto e di candidarsi con aspirazioni da podio alle Olimpiadi brasiliane.
Un miracolo? No, che brutta parola risponde La Mura, è piuttosto la ricompensa per il lavoro svolto e la riscoperta della gioia di vincere.
Ed ora spendiamo qualche parola per questi giovanissimi atleti. Partendo dal premio in denaro che ammonta, udite udite, a qualche migliaia di euro, briciole, cioè, rispetto alle cifre del calcio e di altri sport. «Nessun problema» dice Matteo Castaldo che, come dire, è il portavoce del quartetto e che un suo futuro se l’è costruito e dopo Rio andrà a lavorare come broker assicuratore nell’azienda paterna. «Noi ci sacrifichiamo per un ideale e finalmente il nostro sogno si è realizzato. Quello che accadrà dopo nessuno lo sa e neanche ci interessa, noi daremo tutto e quello che raccoglieremo sarà il massimo». Un grande atleta Matteo, il successo di oggi lo ha costruito mattone dopo mattone. Ha impiegato cinque anni per farlo, ma alla fine la sua tenacia ha avuto ragione dei pregiudizi anche se ha lasciato qualche strascico: Matteo, infatti, ha dovuto cambiare casacca, dalla Canottieri Napoli – dove è nato e dove si sente a casa sua – è passato al Circolo Savoia e qui ha vinto la sua sfida. Sempre con il sorriso stampato sul volto «perché, dice, non avevo rivincite da prendermi, ma un lavoro da svolgere». Per il quale era abile ed arruolabile, ad onta di alcuni giudizi frettolosi. Sembra che a parlare sia un vecchio saggio, non un ragazzo che sta per compiere trent’anni ma Matteo Castaldo che ai valori dello sport è stato educato da un nonno, Carlo Rolandi, velista di fama mondiale e partner del mitico ammiraglio Tino Straulino, da papà Nino canottiere bravino anche lui – «non di più, altrimenti si monta la testa» e da Adele e Martina, mamma e sorella, veliste con un ricco palmares. I miracoli si spiegano così e solo così si capisce che non sono miracoli, ma tutt’altra cosa. E ora che vuoi più dalla vita? Un podio olimpico, ma questa è una licenza del cronista.
Carlo Franco