Culo basso da Abarth 500 e relativa panza piena e pronunciata producono due gol da fuoriclasse per scelta di tempo e rapidità di esecuzione. Lo spaghettone cozze e vongole che sfida le inflessibili leggi della fisica, piegandole a una sensualità alimentare (e fors’anche erotica) a cui Gonzalo Higuain non riesce davvero a rinunciare. Sarebbe a dire – ma questo ai tifosi del Napoli è meglio sussurrarlo – che in luogo della maglietta sudata, feticcio di comodo e un po’ borghese della fatica milionaria del calciatore, la “camiseta” del Pipita è irrimediabilmente votata alle patacche da sugo, segno di una felicità che, con tutto il rispetto, se ne fotte assai della mistica operaista che segnerebbe le gesta di questo “nuovo” Napoli. E se una differenza c’è tra l’altrettanto rotondo Rafa (oggi a dieta stretta su perfido ordine di Mourinho) e il tristerrimo Sarri è che quest’ultimo avrebbe forse centrato il punto, almeno uno, del pianeta Pipita. “Si deve solo divertire – disse ai primi giorni di ritiro – spero che qui lo possa fare, troppe volte l’ho visto nervoso l’anno scorso”.
Ma divertirsi è assai diverso dal fare fatica. E quando le due cose coincidono, al punto che strizzando la maglia di un giocatore a fine partita ci potrai lavare tutte le altre, significa che hai trovato finalmente l’operaio dell’Italsider che cercavi, da piazzare a centrocampo e correre senza sosta in nome e per conto degli altri. Felice lui e felici gli altri, beneficati da cotanto altruismo. Accadde con Lodetti per Giovanni Rivera detto Gianni e se chiedete oggi a “Basletta” di raccontarvi il suo giro del mondo in ottanta e molte più partite, lui vi confiderà – orgoglioso – che “correre e correre e correre per quel genio è stato uno dei più grandi onori e piaceri che mi siano capitati nella mia vita di calciatore”.
Del resto, anche il nostro più grande di sempre, ovverosia Righetto da Fusignano, peraltro tra i primi cinque di sempre di tutti gli altri continenti, si rassegnò, prima rabbioso, poi intelligentemente, alla notizia che essendo Van Basten un fenomeno come ne capitano due o tre nella storia, anch’egli da quell’incidente della storia ne avrebbe potuto trarre giovamento. E dire che ci aveva provato a sottoporlo alla sodomia «un pezzo, un culo», come da catena di montaggio de «La classe operaia va in paradiso», schiaffandolo in panca alla terza di campionato, “così la partita la vedi meglio e poi me la spieghi”. Fu un’umiliazione benefica ma sostanzialmente inutile, il Cigno continuò a considerare la linea di centrocampo come la vera linea di fondo del rettangolo verde. E alla fine ebbe ragione lui.
Per dire che dagli spalti si vede tutto benissimo ma può essere che non si capisca quasi nulla. Che la grammatura del sudore posato a fine partita sul piatto della bilancia accontenta forse i professionisti della confezione, ai quali l’allenatore si rivolge come farebbe il salumiere: «Sono due etti e trenta, lascio?». Il punto G di tutti i godimenti è una sintesi felice di patacche di sugo, magliette terribilmente sudate, e un numero non trascurabile di camisete al profumo di uomo.
Michele Fusco