Alla ricerca dell’analista di cui ti puoi fidare, il ragionamento di Mario Sconcerti, misurato e sufficientemente scanzonato nel linguaggio come deve essere un commentatore di calcio, mi convince anche perché, modestamente, collima con il mio. E con quello di tantissimi altri azzurrologi. Nei commenti del dopopartita – l’angolo che il giornalista toscano si è ritagliato o è stato costretto a ritagliarsi perché il parterre di Sky show è sovraffollato – ha detto testualmente: «Il Napoli mi piace, gioca il miglior calcio d’Italia, è guidato con mano sicura, ma non mi sbilancio sul ruolo che giocherà in questo campionato perché troppe volte mi ha fregato nel senso che avevo puntato sull’azzurro ma mi è venuto meno».
Alzi la mano chi non la pensa allo stesso modo: il problema vero del Napoli è la continuità del rendimento dei singoli e della squadra non l’adattabilità al 4-3-3 o ad un’altra diavoleria tattica. I risultati non li portano le formule, ma i garretti dei giocatori e se quelli di Gonzalo Higuain restano come sono adesso – uniti alla voglia di far bene che nel Pipita a mia memoria non è stata mai tanto forte – le chance di fare bene aumenteranno e non di poco. Perché l’argentino è il vero leader, scelto dai compagni ed ora anche dall’allenatore che ha instaurato con lui, più ancora che con gli altri, un rapporto franco senza alcuna soggezione alla sudditanza psicologica che pure era da mettere nel conto considerata l’inesperienza di Sarri a gestire campioni di questa fatta. L’impatto, invece, è stato più che positivo: i due sembrano fatti (calcisticamente) l’uno per l’altro e il campione, si vede lontano un miglio, è stato folgorato dalla schiettezza del mister che mostra di essere toscano perché aspira la ma ha un dna tutto partenopeo nel quale la (c)azzimma è fondamentale per intavolare buoni rapporti.
«Tra me e il Pipita, dice il tecnico con disarmante semplicità, il dialogo è schietto, lui sa che lo considero tra i primissimi centravanti del mondo ma sa anche che pretendo da lui che questa superiorità la dimostri ogni domenica sul campo a suon di gol, ma anche partecipando alla manovra. Senza flessioni di rendimento e senza sbalzi di umore. Ora lo sta facendo e gli dico bravo, ma se in appresso ce ne sarà bisogno lo rimprovererò». Altrimenti che ci sto a fare a bordo campo? (Questo non lo ha detto, ma l’ha sicuramente pensato).
Ora torniamo all’analista di fiducia. Mario Sconcerti, che è toscano dalla testa ai piedi ed è tifosissimo della Fiorentina che vorrebbe sempre davanti a tutte – ma è ‘nu suonno -, non se la sente di sbilanciarsi ed ha ragione, ma noi vesuviani, costretti, non solo calcisticamente, a vivere alla giornata, un minimo di rischio possiamo prendercelo. E allora ce lo prendiamo azzardando che quest’anno, salvo errori ed omissioni delle quali ci scuseremo, la variabile positiva potrebbe essere proprio Maurizio Sarri che veste da sottotenente, ma ha già dato conto di essere un generale capace di vincere perfino la battaglia di rendere meno perforabile la difesa più colabrodo del pianeta calcistico. Compattando la squadra e creando un filtro efficiente a protezione dei centrali difensivi. Che sembrano rinati, soprattutto o ‘nirone che l’anno scorso sembrava un elefante nella cristalliera, ma oggi, anche se continua a concedersi qualche licenza (vedi gol di Lemina) danza come Rosato buonanima, ha l’agilità di una gazzella che ha fatto molta palestra e si cimenta perfino in tocchi di raffinata, anche se ancora un tantino goffa, eleganza. Che dice Sconcerti? Se sei d’accordo, Mario, strizza l’occhio: qui a Napoli capiremo.
Carlo Franco