Carissimi amici de “Il Napolista”,
dopo un lungo tiro e molla interiore ho deciso di scrivervi per poter condividere il mio pensiero riguardo a tutto quello che stiamo vivendo negli ultimi tempi. Un periodo inaspettato, inatteso, tanto che al mattino, dopo l’ennesima vittoria molti di noi si risvegliano ansiosi di controllare i giornali: sarà ancora tutto vero? Speriamo che il sogno non si fermi, e speriamo di poter continuare a gioire insieme a lungo. Il problema però è forse questo: tutti sappiamo più o meno che non riusciremo per sempre a vincere, un passo falso lo faremo prima o poi (scusatemi, ma io stesso mentre scrivo queste parole sto praticando quella che Anna Trieste definisce oramai come la “manovra Sarri”). E qui si capirà se la nostra squadra sarà diventata matura per la vetta. I campioni si vedono non quando tutto va bene, ma nei momenti di difficoltà. A questo penserà il nostro bravo Mister, che oramai è già in odore di santità (me lo immagino sempre nello spogliatoio in atto di recitare a memoria il discorso finale di Al Pacino in “Ogni maledetta Domenica”).
A noi tifosi spetta però un compito ancora più arduo: limitare l’isterismo, nel bene e nel male.
Una cosa non mi piace: l’esagerazione che ha caratterizzato e sta caratterizzando tutti i commenti relativi al “gesto” di Insigne. Che cosa mai è successo? Un giocatore, che sta attraversando uno dei suoi momenti di massima forma, si è innervosito perché è stato richiamato in panchina dopo non essere riuscito a segnare. E allora? Che c’é di male? Sarà più motivato la prossima volta! Dovremmo smettere di reagire, come purtroppo spesso si legge, con dei “non sarà mai un campione”, “è solo un cafoncello che si sta montando la testa” e così via. La settimana scorsa qualcuno parlava di dargli la maglia numero dieci, ed oggi è poco più che un fallito. Calma ragazzi! Il compito dei tifosi è quello di supportare la squadra, e nel tempo dei social media, dove tutti possono accedere ai commenti di tutti, questo compito è ancora più importante.
Io sono originario di Frattamaggiore, la stessa patria del nostro “Magnifico”. Ebbene sì, lo confesso, sono anche io un “cafoncello” e per trovare il mio spazio sono dovuto emigrare. Dove? In un posto dove, se anche la tua squadra perde quattro a zero, i tifosi continuano a cantare fino all’ultimo minuto di recupero e dove nessuno si permetterebbe di attaccare un giocatore solo perché non è contento della sua prestazione! Qui i giocatori crescono da piccoli su campi da gioco che sembrano campi da golf (e si tratta di strutture pubbliche, non a pagamento). Qualcuno di vi riesce a immaginare (credo di si) in che contesto si è invece dovuto formare il talento calcistico del nostro nanetto d’oro? Noi siamo così, abbiamo la rabbia dentro, la rabbia di chi deve lottare fin da piccolo per le cose più essenziali, la rabbia che ti fa venire voglia di prendere il mondo a calci o a pungi.
Qualcuno ha scritto (credo fossero i Co’ Sang in una delle loro canzoni) “nisciuno ‘o ssàpe, quanto è difficile pe ‘nu guaglione ‘e Napule ‘a s’affermà ‘rinto ‘a società”….. questa frase sembra fatta apposta per questa situazione.
Essere tifosi non è solo un passatempo….è una responsabilità, e lo è ancora di più se si è tifosi dell’unica squadra che ha visto giocare nel suo momento di massima forma l’unico dio sceso (Gesù perdonami) sulla terra, l’unica squadra al mondo per cui forse valga la pena fare il tifo, perché rappresenta una città che a sua volta rappresenta un’idea.
Forza Napoli Sempre, forza Lorenzo… ma la dieci non si tocca (Trapani Dixit)
Tommaso D’Avanzo