Avrei un consiglio da dare agli sportivi veri: dedichiamo la splendida vittoria sulla Fiorentina al ricordo di Giulio Travaglio, campione del nuoto più faticato, quello delle maratone, e idolo delle teen agers che, nei mitici anni Sessanta, partecipavano – lo fece anche Sophia Loren convinta dalla madre che tutte le provò – alle gare per la elezione dell’Ondina di Sport Sud ritenuta una scorciatoia per inseguire il sogno del cinema.
Giulio è morto poche ore prima di Napoli-Fiorentina: è giusto ricordarsi di lui che ha ben speso il nome di Napoli al contrario di quanto ha fatto la città che, invece, lo ha dimenticato. Sbagliando perché la vita di questo scugnizzo nato a Baia, bello più di Riccardo Scamarcio che gli somiglia moltissimo, e molto amato dalle donne che prendeva e buttava – come diceva lui – fino a quando non ne ha trovato una che lo ha stregato, è pronta per essere trasferita in uno studio televisivo per montarci su una fiction di successo. Non ne azzecchiamo una e, allora, non ci resta che piangere. Raccontando che il campione è entrato nella Marathon Swimming Hall of fame e, soprattutto, ha fatto la fortuna della Capri-Napoli vincendola cinque volte, dal 1966 al ’70 – «In quella del ‘69 mi ritirai perché il mare era troppo incazzato e io ho sempre rispettato il mare del Golfo perché mi ha dato soldi e successo» – ma è stato costretto a vivere da emigrante e a scegliere, lui che a mare si muoveva con l’agilità e la grazia di un delfino, il cielo come datore di lavoro vincendo una selezione come steward dell’Alitalia. Giulio, che ho avuto la fortuna di conoscere sul piazzale del Molosiglio, scoprì il nuoto di gran fondo per caso o, meglio, per una delle tante felici intuizioni del giornalista Lello Barbuto, infaticabile e geniale organizzatore della Capri-Napoli, che scelse di affidarsi allo scugnizzo bello come il sole per lanciare la maratona. Fece bingo, Travaglio sbaragliò il campo e bucò l’audience al punto da rinunciare al nuoto da piscina nel quale pure eccelleva nei 400 e nei 1500 stile libero. Buby Dennerlein, che lo stimava molto, voleva convocarlo per l’Olimpiade di Tokio del ’64, ma Giulio rifiutò perché si stava preparando per l’esordio nella maratona. Fu la svolta della sua vita. Ma anche il suo cruccio.
Un amaro destino il suo: vinceva a Napoli, ma per sbarcare il lunario fu costretto a cercare fortuna oltre oceano. Trovando stima, popolarità da divo e, vivaddio, anche i dollari. Giulio fece di necessità virtù, come si dice, e si adattò a vivere sei mesi a Santa Fè dove era popolare come un campione di calcio dopo aver vinto la maratona Santa Fè-Coronda di 57 chilometri e quella ancora più massacrante nel fiume Hernandarias, e sei mesi a Padova dove si era trasferito dopo aver sposato Maria madre delle sue due figlie Manuela e Giorgia. Quando ritornava a Baia veniva assalito dalla commozione e un giorno, quando il terribile male che lo ha ucciso a 71 lo aveva già aggredito, affidò alla moglie un messaggio drammatico: «Fammi morire a casa mia». Non ce l’ha fatta. A Baia, vicino al mare della sua infanzia, ritorneranno le sue ceneri.
Nel copione della fiction meritano uno spazio d’onore alcuni episodi che sembrano fatti su misura per descrivere splendori e miserie di una vita di un campione baciato dal successo senza mai smettere di essere uno scugnizzo. Perseguitato dalla malasorte, come da copione. A Montreal lo obbligarono a una maratona massacrante in un lago ghiacciato ma lui non si perse d’animo, si spalmò di grasso per difendersi dal freddo come aveva visto fare ai coccodrilli del nuoto sbarcati a Capri agli ordini di un generale alto come un gigante del Nba e pesante come un elefante, e, come al solito, fu il più bravo di tutti. Quella volta nuotava in coppia con Abdel Abou Heif, uno dei coccodrilli del Nilo che aveva battuto nella Capri-Napoli, e insieme staccarono di seicento metri gli avversari, intascarono la bella somma di diciottomila dollari, novemila a testa, una manna per un nuotatore di gran fondo. «Con quei soldi volevo regalarmi una Ferrari che allora costava sei milioni, era il mio sogno, ma ci ripensai e scelsi di acquistare una casetta a Baia». L’ultima scugnizzata la fece lungo il Nilo dove ogni anno si organizzava una competizione crudele: i nuotatori venivano inseguiti dai coccodrilli, quelli veri, vinceva chi correva più di quelle bestie orribili. Vinse Giulio Travaglio da Baia. Per questo è giusto dedicargli la vittoria del Napoli, quella che autorizza a sperare che la squadra di Sarri possa correre più dei coccodrilli avversari.
Carlo Franco