“Papà, ma chi è quello col numero nove?”.
“Come chi è? È Higuain”.
“Higuain? Sei sicuro?”
Il papà lo guarda con un misto di rabbia e insofferenza, e non risponde. Quel numero nove intanto accelera, si beve mezza difesa del Palermo, triangola con Insigne e serve Hamsik. Poi corre a centrocampo a pressare all’altezza delle panchine. Dopo poco lo trovi nel bel mezzo dell’area a colpire di testa su cross di Hysaj. Sembra quelle lampadine a sensori di movimento: si accendono quando entra qualcuno nell’ambiente; così Higuain ha un fremito quando la palla gli si avvicina ai piedi. Come se si emozionasse. “Mi sto calciando addosso”. Una scossa che ricorda Careca, il calciatore che si illuminava con la palla al piede, che accelerava così improvvisamente da finire talvolta col correre più velocemente del pallone.
Higuain è così. Sorveglia l’area di rigore come un cacciatore la sua preda. Si aggira senza fermarsi mai. Poi, d’improvviso, scocca un destro che ai signori un po’ in là con gli anni ricorda Dick Dinamite, fumetto del Guerin Sportivo anni Settanta. Palla nell’angolino basso. Imprendibile. Uno a zero. Come a Verona contro il Chievo. In quella occasione di sinistro al volo, alla Bruno Giordano. Uno a zero anche lì. Due gol decisivi in due partite. Come decisivo è stato quello alla Fiorentina dopo aver rubato palla sulla trequarti. Di sinistro, sempre rasoterra, a incrociare. Tre gol, nove punti. Ed è stato lui ad aprire le danze contro la Lazio. Da fuori area, di destro, rasoterra. E sempre Higuain è stato a segnare il 2-0 alla Juventus. Altra palla recuperata, altra accelerazione, altro sinistro in diagonale. Altro gol.
Gonzalo Higuain. Una frase mai confermata venne attribuita a Mourinho: “Higuain è il calciatore più pigro che abbia mai allenato”. Eppure quando arrivò a Madrid, lo Special One non ebbe il minimo dubbio tra Gonzalo e Benzema. Del francese disse: «È come andare a fare la caccia alla volpe con il gatto». Perché il centravanti era Gonzalo, oltre a un certo Cristiano Ronaldo. Finì che in semifinale di Champions contro il Borussia Dortmund, Mou per disperazione tolse Gonzalo dal campo e fece entrare il gatto. Pochi mesi dopo, Higuain avrebbe lasciato il Real. Destinazione Napoli.
Napoli. Castel Volturno. Un centro tecnico a ridosso di un albergo che ospita battesimi e matrimoni. Qualcuno addirittura vocifera di problemi con l’acqua calda. Sicuramente uno sbalzo per chi non ha mai conosciuto altre squadre che non fossero il River e il Real. Perché non era una bestemmia affermare che la destinazione più logica per Gonzalo sarebbe stata la Juventus e che invece l’Apache Tevez avrebbe fatto ribollire il sangue del San Paolo. Quel che è certo è che nessun napoletano lo ha mai detto. Forse lo ha pensato ma è un pensiero che ha tenuto per sé.
Gonzalo è stato ricoperto d’amore sin dal primo giorno. Sin da quando sbarcò all’aeroporto di Roma e venne trattato come un re mentre quell’altro che era con lui – un certo Pepe Reina – si portava il bagaglio da sé. Partì bene Higuain. Lanciato. Gol al Chievo, gol all’Atalanta, gol al Dortmund, gol al Milan. Sembrava che sgommasse in campo. E come adesso, sembrava un felino in cerca della vittima. Poi, però, emersero anche altri aspetti. Il timore di una ricaduta muscolare lo fece passare per un non coraggioso. Il suo inveire sempre contro i compagni, soprattutto contro Insigne, era l’aspetto che ricordava di più Cavani. Poi ci fu quel gol sbagliato a Dortmund che pesò sulla mancata qualificazione. E le lacrime del post-Arsenal in un San Paolo che si commosse per il suo eroe.
In fondo, anche il tifoso più innamorato sapeva al fondo dei suoi sentimenti che l’instinct killer o ce l’hai o non ce l’hai. E Gonzalo sembrava proprio non averlo. A Madrid, nonostante una folta rappresentanza di irriducibili, si erano rassegnati. E tutto sommato anche in Argentina. Maradona prima lo fece esordire in Nazionale e poi lo mandò in campo nel Mondiale in Sudafrica al fianco di Messi, contro tutto e contro tutti. Non aveva nemmeno 23 anni. Segnò, perché segnò, anche una tripletta – come solo Stabile e Batistuta in un Mondiale – ma il gol decisivo contro la Germania se lo mangiò. Più di lui, però, mancò un certo Lionel Messi. Il suo Mondiale non era quello. Gli argentini aspettarono quattro anni e se lo ritrovarono con la palla buona sul piede. Di nuovo contro la Germania. Stavolta in finale. Un palla da sbattere al volo in porta di destro. La ciccò come nessuno gli aveva mai visto fare.
L’instinct killer. O ce l’hai o non ce l’hai. Chievo. Atalanta. Milan. E Lazio. Quattro rigori. Tre palle gol al San Paolo contro il Dnipro e una in Ucraina. Quattro volte addosso al portiere avversario. Qualche chilo di troppo. Mai un sorriso. In estate Messi disse che lo avrebbe voluto al Barcellona. Si narra che anche lui si sarebbe mosso per provare a prendere Mascherano. Fatto sta che qualche mese dopo per lui Aurelio De Laurentiis parlò di città rapace. Non era più la pantera che si aggirava nei dintorni dell’area di rigori. No. Higuain era diventato un uccellino incapace di difendersi. Finì con un’aggressione al suo taxi al termine di Napoli-Lazio e un altro rigore tirato alle stelle nella finale di Coppa America contro il Cile.
Napoli venne colpita da una vento di follia che lo avrebbe voluto lontano da Napoli in cambio, chessò, di Ciro Immobile. Ma anche il più strenuo sostenitore in cuor suo non avrebbe mai immaginato questa metamorfosi. Probabilmente l’unico che la riteneva possibile è stato Maurizio Sarri, insieme con Aurelio De Laurentiis che lo ha trattentuo a Napoli contro ogni previsione. Un obiettivo puoi raggiungerlo solo se te lo figuri in testa, nel corpo, nell’anima. E Sarri con Higuain ha sempre dimostrato di avere le idee chiare. Lo ha accolto a Dimaro come un bambino accoglie Babbo Natale, un Babbo Natale un po’ stanco e scocciato. Lo ha atteso. Lo ha coccolato. Lo ha sostituito contro il Sassuolo. Gonzalo, da professionista, non ha detto A. Ha risposto con una doppietta contro la Sampdoria: sinistro e destro, entrambi rasoterra, tanto per gradire. Una giornata a folle a Empoli. E poi la cavalcata.
Oggi Higuain è un altro calciatore. Irriconoscibile agli occhi di un bambino, e non solo. Se ha una sola palla sul piede, non sbaglia. Come contro Juventus e Fiorentina. È un centravanti. Il centravanti. «Se continua così – ha detto Sarri ieri sera in conferenza stampa – fra tre mesi sarà il centravanti più forte del mondo». Otto gol in dieci partite di campionato. Più due in Europa League, quella Europa League che nei sette anni di Real non aveva mai conosciuto. Perché, ripetiamolo, Gonzalo è nato bene ed è cresciuto meglio. Otto più due, in totale dieci gol. Senza rigori. Manca quell’anello lì per sancire definitivamente la vita nuova di Gonzalo. Undici metri di separazione. Lui lo sa e sta facendo in modo da presentarsi all’appuntamento nel miglior modo possibile. Segna e trascina, si carica il Napoli sulle spalle. Insomma, un leader.
Massimiliano Gallo