C’è una cosa dei giornalisti che non capirò mai. È quella insistenza nel porre una domanda nel tentativo di “estorcere” una dichiarazione, anche nel caso in cui quella risposta di fatto non altera minimamente la realtà. Un tempo, a Napoli, in occasione di delittuosi episodi di cronaca, la domanda di rito da porre a un parente della vittima era: «Le viene voglia di lasciare Napoli?». Sempre, era un classico. Perché, in caso di risposta affermativa, sarebbe ripartito il dibattito-tormentone.
È più o meno quel che sta accadendo col Napoli e lo scudetto. Ora, diciamo la verità, che questo Napoli sia abbondantemente nel gruppo delle squadre che possono ambire alla conquista del campionato è nei fatti. A prescindere da una dichiarazione di Sarri o di Higuain. Il Napoli è secondo in classifica, a due punti dalla Roma e a pari merito con Lazio, Inter e Fiorentina e con sei lunghezze di vantaggio sulla Juventus. Ha il secondo miglior attacco della serie A e la seconda miglior difesa. Nelle ultime nove partite – tra campionato ed Europa League – ne ha vinte otto e ne ha pareggiata una (a Carpi). Ha battuto Milan, Juventus, Lazio e Fiorentina. E ieri sera ha superato il complesso di Gulliver, ha vinto in casa di una cosiddetta piccola come il Chievo. E, soprattutto, il Napoli gioca il miglior calcio d’Italia. A questo quadro aggiungere o meno il sì di Sarri, alla stregua di quello dell’uomo Del Monte, cambia poco.
Il Napoli ieri ha vinto una partita importantissima. Ha sempre provato a imporre il suo gioco, ha lottato, non si è mai lasciato intimorire da un Chievo che ha provato a metterla sul piano fisico. Ed è stato più forte della sfortuna, visto che nel primo tempo Higuain aveva colpito due pali (splendido il secondo su perfetto rasoterra da fuori area, diremmo alla Gigi Riva con l’altro piede). Il Napoli ha vinto da squadra consapevole. Sempre concentrata sull’obiettivo, che ha colpito alla minima distrazione degli avversari. E ha colpito con un gol di straordinaria bellezza. Novanta e passa minuti nel corso dei quali Reina è rimasto praticamente inoperoso: abbiamo rischiato solo in apertura, col contropiede di Castro, e in chiusura su una girata di Inglese nata proprio a causa di un passaggio errato di Pepe. Dire che abbiamo sofferto è francamente eccessivo. Il Napoli ha imposto il proprio gioco, come ha sempre fatto dalla quarta giornata in poi (e va incluso il primo tempo contro la Sampdoria). Anche in una serata, com’è ovvio che sia nell’arco di un campionato, ad esempio Insigne non è stato all’altezza delle precedenti prestazioni.
Sarri ha modellato una squadra dinamica e bella da vedere. Il tecnico toscano sarà un operaio della panchina ma è un operaio altamente specializzato. Il suo Napoli gioca un calcio che è una terza via tra il tiki taka di Guardiola e l’heavy metal che Klopp ha mostrato col Borussia Dortmund. Il Napoli di Sarri ha sempre ritmo e intensità. Sempre. Forse persino troppo pensando alla durata della stagione. Per non cadere nella banalità del rock, potremmo dire che il suo calcio è una tammorra. Il Napoli non abbassa mai la frequenza, in nessuna zona del campo. Questo Napoli ha fame: azzanna in difesa, aggredisce a centrocampo, è sempre proteso alla conquista del pallone. E ieri sera abbiamo notato – non per la prima volta in questa stagione – una scena che quasi mai avevamo visto in passato: i giocatori, ormai sempre in maglia azzurra, che accerchiano l’arbitro per protestare.
Il Napoli ha una squadra forte, è più completo rispetto all’anno scorso (Allan e Reina su tutti), è al sesto anno consecutivo da protagonista in Italia, ma a Sarri va attribuito un sovrappiù alchemico, e tattico, che oggettivamente non si vedeva (anche il Napoli di Mazzarri aveva lunghe pause). È entrato rapidamente in sintonia con lo spogliatoio e anche con la città (ovviamente quando arrivano i risultati, questo secondo percorso è più semplice). Ha rinunciato all’idea iniziale di stravolgere l’assetto della squadra optando per un più pragmatico miglioramento dell’esistente. E in questo quadro ha rivitalizzato giocatori che apparivano contrariati e spenti, su tutti Hamsik e Jorginho, o involuti come Albiol. E ha potuto contare su un Insigne che magari inizialmente non lo entusiasmava al punto da fargli dimenticare Saponara. Nel dopopartita, Higuain gli ha riconosciuto i meriti di questo Napoli. Dichiarazioni che lasciano il segno. Perché Higuain è il leader della squadra. Nel bene e nel male. E fin qui è stato solo bene (fatta eccezione per le prime due trasferte che ormai sono preistoria). Per la prima volta il Pipita sembra voler indossare panni che fin qui aveva sempre mostrato (non solo da noi, anche nel Real e nell’Argentina) di non voler vestire. Ieri si è caricato la squadra sulle spalle come si conviene a un condottiero: è stato di gran lunga il più pericoloso.
Ora, ovviamente, da qui a vincere il passo non è misurabile. Di certo questo Napoli ha bruciato le tappe. Ha impiegato nove giornate per mostrare il proprio valore al campionato. E, come accade nei videogiochi, è salito di categoria. Ha finito il primo quadro. Sarri lo sa bene, è il motivo per cui ha negato anche con una certa stizza il coinvolgimento nelle discussioni di rito. È l’esatto contrario del mestiere del sub: più sali, più aumenta la pressione. Per dirla alla Brezsny, è un po’ come avviene nella vita: puoi anche far finta di non ammettere che qualcosa sta cambiando ma dentro di te lo sai e in fondo non ti dispiace. Ecco, credo che a Sarri e al Napoli stia accadendo qualcosa di simile. Poi si vedrà.
Massimiliano Gallo