Da dove cominciamo? Dalla terza vittoria consecutiva in campionato? Dal quarto posto a tre punti dalla capolista? Dal successo su un’ottima Fiorentina? Da due calciatori del Napoli in testa alla classifica marcatori? Dal record personale di Insigne che mai aveva segnato sei gol in serie A e siamo appena all’ottava giornata? Dalla difesa che con otto gol subiti è diventata la terza del campionato alle spalle di Inter e Fiorentina? E potremmo ancora continuare. Il Napoli di Maurizio Sarri ha bussato forte alle porte del campionato italiano. E lo ha fatto con una vittoria non altisonante bensì sofferta e per questo decisamente più importante. Il Napoli delle goleade ci ha fatto ricordare come sono gli scontri diretti, quando c’è realmente in ballo qualcosa e non solo il futbol bailado. Sono partite a scacchi. Decise dai momenti, dalla capacità di piazzare la mossa giusta nei momenti decisivi (la definizione che ha sempre dato Rino Tommasi del fuoriclasse: colui il quale ha la capacità di giocare il colpo straordinario nel momento decisivo, la differenza col campione è tutta lì). E ieri Marek Hamsik sembrava mosso da una manona all’Anita Ekberg del felliniano “Le tentazioni del signor Antonio” mentre dolcemente serviva in verticale Lorenzo Insigne prendendo in mezzo Tomovic e due settimane di studio di Paulo Sousa e del suo staff. Un colpo alla Marcello Lotti, lo “scuro”, che ha squarciato la partita: una partita vera che solo così poteva essere squarciata. Ti accorgi che è una partita vera quando non entri nelle difese altrui come la lama nel burro. Quando due gol su tre sono colpi di prodigio (perché quello di Kalinic è un gol alla Careca). Quando non puoi sbagliare l’occasione buona che ti capita o ti costruisci. Perché la vittoria di ieri del Napoli sulla Fiorentina contiene un cambio di passo tutt’altro che irrilevante: è arrivata al termine di una partita in cui abbiamo sofferto e non poco, soprattutto nel primo tempo. Ci eravamo disabituati a 45 minuti senza praticamente mai tirare in porta. Ieri è successo perché di fronte abbiamo trovato una squadra molto ben organizzata, attenta, armonica, pronta a chiudere ogni varco e a ripartire.
L’apriscatole è stato Hamsik. Con quel tocco perfetto, né troppo veloce né troppo lento. Un tocco che merita la vetrina. Come merita la vetrina questo giocatore che in otto anni di Napoli (questo è il nono) non avevo mai visto giocare così. Potrei perfino azzardare che mai lo avevo visto rincorrere un avversario come ieri Bernardeschi, entrargli in scivolata, fermare il suo contropiede e poi aizzare la folla. Impossibile non chiedersi se si trattasse dello stesso giocatore impaurito di fronte a Gattuso nell’umido San Siro di tanti anni fa. È l’immagine simbolo del Napoli di ieri. Di un calciatore da sempre discontinuo, perennemente considerato un incompiuto (non solo nel biennio Benitez) che invece quest’anno sembra un’altra persona. Così come colpiscono i sei gol di Lorenzo Insigne in otto giornate di serie A (fin qui non ne aveva segnati più di cinque a campionato). E colpisce che ieri una palla ha avuto per colpire l’avversario e non l’ha sprecata. Segno che la concentrazione è alta. È la tenuta mentale che è cambiata, perché è la tenuta mentale che ti dà la forza e la lucidità per non fallire l’unico colpo a disposizione. Ed è la tenuta mentale a farti recuperare una palla a trequarti campo e ripartire con un triangolo da calcio di strada e involarti verso il 2-1 firmato Gonzalo Higuain.
«Finché avremo questa condizione mentale, avremo anche la condizione fisica», ha detto ieri Maurizio Sarri in conferenza stampa. Ed è lì la chiave di questo Napoli. Una chiave, un merito che non può non essere attribuito a questo toscano ex bancario che è riuscito a entrare nelle teste dei suoi calciatori, che è riuscito a entrare nel calcio che conta senza snaturarsi, senza rinunciare alla genuinità dei suoi gesti in panchina, senza sentirsi a disagio davanti alle telecamere (l’apprendistato è durato non più di qualche settimana). Ma quel che più conta è che sembra aver stabilito un feeling profondo con la squadra. Gianni Mura sintetizza citando Osvaldo Bagnoli («ch’el terzin faga el terzin, el median el median») ma non basta. Perché, ad esempio, Hamsik giocava mezz’ala anche con Mazzarri e Reja. È nella testa che Sarri ha stravolto questa squadra, e non suoni come uno sminuire la portata dei suoi allenamenti che incidono, eccome, in modo particolare sull’assetto difensivo della squadra.
Sarri è entrato in sintonia con lo spogliatoio ed è questo oggi a fare la differenza. Chissà magari è proprio la sua precedente esperienza lavorativa, il suo avere avuto a che fare con la realtà impiegatizia, che lo favorisce da questo punto di vista. Fatto sta che la differenza è evidente. Non vorremmo scomodare nomi altisonanti dell’imprenditoria italiana ma l’organizzazione del lavoro, il riuscire a far sentire il dipendente a casa sua è alla base di secoli di studi. E su questo ci ritorneremo. Come dice giustamente anche lui, sono state giocate appena otto giornate e il Napoli è quarto. Va anche ricordato che siamo ai vertici del calcio italiano da cinque anni, non siamo il Sassuolo. Ma quel che induce alla più o meno timida illusione è la diversa mentalità della squadra, la capacità di reazione dopo il pareggio della Fiorentina così come dopo il gol della Juventus. Perché in tutta onestà è incredibilmente presto per parlare di chissà cosa. Non siamo nemmeno a un quarto del campionato e siamo quarti. Sarà il tempo a dirci quante energie mentali – perché il punto è lì – questa squadra avrà. Ed è questo il motivo per cui Sarri fa il pompiere. Di certo da ieri una cosa è chiara: i grandi obiettivi si raggiungono con le scivolate in rincorsa agli avversari e le palle recuperate a centrocampo, non c’è altra via. Poi, avere chi quei palloni è in grado di piazzarli nell’angolino aiuta.
Massimiliano Gallo