La frase più bella l’ha pronunciata Maurizio Sarri: «Se sento la pressione? Quale pressione, sono solo contento di giocare una partita così. Perché vuol dire che abbiamo fatto bene fin qui e perché è bello giocare partite del genere, in uno stadio come il San Paolo». L’allenatore del Napoli mette sul tavolo la sue armi: la semplicità, la forza della gavetta, l’essersi fatto da solo ed essere finalmente arrivato alle grandi platee. Se ne è tolti ieri di sassolini, anche in riferimento agli opinionisti: «È il mestiere più bello del mondo, puoi cambiare idea quando vuoi e non sei mai responsabile di quello che dici».
Stasera, tra poche ore, Sarri si giocherà quella che brerianamente – e non solo – è la partita più importante della quattordicesima giornata di campionato (Gioanbrerafucarlo faceva la somma dei punti in classifica delle contendenti per stabilire l’incontro clou). La sfida tra la prima e la seconda in classifica. Tra una squadra bruttina, scorbutica e comunque vincente (l’Inter) e la più elegante, la più armoniosa (il Napoli). La bestia contro la bella. Anche se Sarri ci ha tenuto a precisare che l’Inter non è brutta e che ciascuna squadra gioca in base alle caratteristiche dei propri giocatori.
Se però un osservatore neutrale dovesse scegliere quale squadre guardare, non avrebbe dubbi: opterebbe senz’altro per il Napoli del 4-3-3, dei diciassette risultati utili consecutivi tra campionato ed Europa League, del capocannoniere Higuain, dei soli otto gol subiti in serie A di cui sei nelle prime tre giornate. Ventiquattro reti in tredici gare, quasi due a partita. Otto in più rispetto all’attacco asfittico dell’Inter di Mancini che solo in due occasioni ha segnato più di un gol: contro il Carpi e contro il Frosinone.
I numeri, il gioco e anche il fattore campo direbbero che non c’è storia. Ma il pallone è il pallone ed è lungo l’elenco di chi è finito sottosopra per aver sottovalutato l’avversario. La scorbutica Inter ha una sua forza. Che è certo nell’assetto difensivo (sette gol incassati, di cui quattro dalla sola Fiorentina l’unica ad aver battuto in nerazzurri) ma non solo. È una squadra ostica, difficile da affrontare, che non ti lascia giocare pulito. Che fin qui ha sconfitto Milan e Roma, ha pareggiato contro la Juventus e ha perduto dai viola appunto.
Una squadra che non ha un undici titolare; al contrario del Napoli, non ha nemmeno un modulo preferito. L’unico che ha giocato sempre è Handanovic, il portiere. Dopo di lui, per minuti giocati, c’è Medel che nel Napoli sarebbe settimo nella classifica dei minuti giocati. Sarri ha il suo undici titolare. Sono sei i calciatori con più di mille minuti in serie A: Reina, Albiol, Hysaj, Higuain, Hamsik, Allan. Tutti hanno giocato più del cileno che decise la gara contro la Roma con un tiro non proprio irresistibile da fuori area. Sarri ha dieci calciatori con più di novecento minuti nel campionato, l’Inter cinque. Il Napoli ha una sua fisionomia ben definita. Sono chiari il modulo, i titolari e i panchinari. Per Mancini vale l’esatto contrario: tredici formazioni in tredici partite, e più moduli utilizzati.
L’unico aspetto che hanno in comune è la forza difensiva. Anche qui, però, c’è una differenza: l’Inter subisce più tiri del Napoli anche se ha preso un gol in meno. Handanovic ha parato il doppio rispetto a Reina (46 contro 22). Lo scorso anno, i due tecnici si affrontarono due volte. Finì zero a zero a Empoli, con i padroni di casa che giocarono meglio, e poi 4-3 a Milano nell’ultima di campionato.
Sono due tecnici agli antipodi: l’uno, il Mancio, la gavetta non sa nemmeno che cosa sia, ha cominciato a Firenze, poi Lazio, Inter, Manchester City e di nuovo Inter; l’altro nel suo curriculum ha squadre come la Sansovino, la Sangiovannese, il Grosseto, l’Alessandria, il Sorrento. Eppure la formazione che gioca il calcio più spettacolare è la sua.
Una sfida scudetto per quanto lo possa essere una partita alla 14esima giornata di un campionato che ne prevede 38. Il San Paolo torna a riempirsi come nelle grandi occasioni contemporanee e cioè poco più di cinquantamila spattatori. Più o meno come contro il Chelsea, ottavi di Champions, la partita più importante giocata al San Paolo negli ultimi anni. Decisiva decisiva Napoli-Inter non lo è mai stata. Almeno al San Paolo. Ai tempi del primo scudetto fu un anonimo zero a zero, l’anno del secondo vincemmo due a zero con gol di Careca e Maradona. Poi ricordiamo un Beto in semifinale di Coppa Italia, per poi vincere segnando cinque rigori su cinque (tra i marcatori anche Caio) prima che una levata d’orgoglio di Ferlaino ci privasse di Gigi Simoni (reo di essersi promesso all’Inter) spalancandoci le porte della sconfitta nella finale di Coppa Italia e della serie B l’anno dopo. E proprio all’anno della prima retrocessione risale l’ultima vittoria nerazzurra firmata Galante e Winter (con Simoni in panchina). Poi ci sono stati Matuzalem, Ciro Zalayeta (anche contro Mourinho), lo zero a zero pieno di pali e traverse con Denis e Quagliarella, Higuain, il cucchiaio di Icardi. Più dietro, gli interisti ricordano un pallonetto di Beccalossi; noi la punizione di Guidetti che ci lanciò al primo posto con Roma e Juventus nell’anno del maledetto Perugia. E poi ci sarebbe da andare ancora più a ritroso. Ma ci fermiamo qui.
Stasera è un altro Napoli-Inter. E vale per il primo posto. La squadra corta, la difesa alta, il gioco all’olandese ce l’abbiamo noi. Loro, come da tradizione, portano quella che ben conosciamo col nome di cazzimma.
Massimiliano Gallo