Inizio a scrivere dopo un giro su Youtube, e mi sento assalito da quella sensazione di “a bocca aperta” che, di solito, nasce dai confronti “prima e dopo”. Di quelli che fanno vedere in televisione, con le foto dei vip, in cui ci mostrano la soubrette o l’attore al naturale, senza gli interventi estetici. Sul Tubo ho cercato “Reina Napoli”, e la sensazione è nata dopo aver visto due video: quello dell’arrivo in Italia del portiere spagnolo e quello dell’ovazione post Napoli-Inter che lo speaker del San Paolo, Daniele “Decibel” Bellini, ha voluto dedicare al 25 azzurro dopo la parata su Murillo che riportava gli azzurri in testa alla classifica, in solitaria, un quarto di secolo dopo l’ultima volta.
È un prima e dopo, e dentro c’è la storia di un amore, da zero a centomila, tra un calciatore e una tifoseria. Non un colpo di fulmine da cinema, ma una cosa più simile all’innamoramento che viene prima di una relazione lunga, reale, da gente normale e quindi forse ancora più vera. Il primo video, in questo senso, è indicativo: quando arriva Higuain, camicia rossa e sciarpa azzurra al collo, ci sono il sole e molti tifosi già in adorazione. Quando inquadrano Reina invece piove, e già questo è fondamentalmente triste, diverso. Non c’è la sciarpa, i tifosi sono pochi e si vedono una bella ragazza con un ombrello che fa tanto MotoGp e un bagaglio a mano grigio, di plastica rigida.
Ripensandoci bene, non sarebbe potuto andare molto diversamente. José Manuel Reina era ed è un portiere, e difficilmente l’acquisto di un numero uno scatena le scene di delirio collettivo tipiche dell’arrivo di un fuoriclasse del gol. Quando poi questo si chiama Higuain, peggio di peggio. Reina, poi e se vogliamo, è anche una grossa incognita: è un feticcio dell’allenatore Benitez, che l’ha già voluto e allenato a Liverpool, ed è anche campione del Mondo e bi-campione d’Europa in carica, pur come riserva di Casillas. Però è stato praticamente e immediatamente scaricato dal nuovo manager dei Reds, Brendan Rodgers, che lo manda in prestito al Napoli senza pensarci troppo per puntare su Simon Mignolet, portiere belga del Sunderland. Esistono le parole, usiamole: le quotazioni di Reina nell’estate 2013 sembrerebbero in ribasso, e non sarebbe la prima volta nella sua carriera. Perché Pepe, figlio d’arte (papà Miguel ha difeso la porta di Barcellona e Atletico Madrid), è stato canterano e portiere titolare al Barcellona, ma nessuno se lo ricorda. 49 presenze a cavallo tra il 2000 e il 2002, uno dei periodi più bui nella storia azulgrana. Nella mia ricerca su Youtube ho trovato poche testimonianze di questa militanza, ma questa è una vera chicca: numero 35, i capelli al loro posto, e un Clasico al Bernabeu finito 2-2, con in campo Guardiola, Sergi, McManaman, Makelele. Roba per nostalgici veri.
Reina è uno che ha disegnato una carriera circolare. Esordio al top, passo indietro, ritorno nell’Olimpo e poi il Napoli. Il passo indietro abita a Villarreal, dove Pepe approda nel 2002 con un trasferimento in prestito che nel 2004 diventa definitivo. In tre anni, si afferma tra i migliori estremi difensori del campionato spagnolo. Eloquente il dato della stagione 2004/2005, in cui riesce a neutralizzare sette rigori sui nove fischiati contro il Submarino Amarillo. Fa il suo esordio in nazionale, ormai è un nome troppo importante per il Villarreal. Benitez lo acquista dopo la Champions League vinta con i Reds, e al diavolo la riconoscenza verso il polacco Dudek: Reina gioca 53 partite nella sua prima stagione ad Anfield, relegando l’eroe di Istanbul in panchina. Anche qui Youtube mi viene in soccorso, con decine di video tribute al portiere spagnolo, che nel frattempo ha provveduto a rasarsi i capelli, sempre più radi: in tutte le compilation ci sono i due rigori parati a Geremi e Robben (semifinale di Champions del 2007, Liverpool-Chelsea) e un dribbling secco, in completo total yellow, a un non meglio identificato numero nove in maglia bianca, che scivola subito dopo essersi fatto superare palla al piede. Sono le due anime di Reina, portiere moderno che non usa solo le mani. Uno che se ne intende, Gigi Buffon, ha recentemente detto che Pepe, con i piedi, «è fantastico».
Reina sceglie Napoli dopo Liverpool, ma questa volta non è un passo indietro. Gli azzurri studiano da grande, hanno preso Benitez che ha voluto e fatto acquistare Higuain, Callejon, Albiol. E Reina, ovviamente, anche se le quotazioni sembrerebbero in ribasso e quest’acquisto, pioggia, bella ragazza, ombrello e bagaglio rigido, passa quasi inosservato. Il colpo di fulmine ha una data, un luogo, un momento e un avversario precisi. 22 settembre 2013, Milano San Siro, Stadio Giuseppe Meazza e un calcio di rigore che Balotelli è pronto a tirare. Il Napoli vince per 2-0, e l’ex di Inter e Manchester City non ha mai sbagliato un penalty in carriera. Il mio giro su Youtube mi ha riportato anche a quella serata, accompagnato da un commento in una qualche incomprensibile lingua araba, e ha cancellato e ha cambiato completamente il mio ricordo. Ogni volta che parlo di quel rigore, racconto di una paratona sensazionale, storica, di una roba assurda. Invece, riguardandolo, mi rendo conto che il tiro è di facile lettura, basso e forte, ma colpevolmente troppo vicino al centro della porta. Reina va giù veloce, d’istinto, ma in carriera ha fatto molto di meglio, anche a Napoli. Gli azzurri, alla fine, vinceranno 2-1.
Reina, da quella sera e per l’eternità, diventa “il” portiere di quest’era del Napoli. A memoria d’uomo, se penso alla prima annata di Pepe in azzurro, ricordo giusto un’altra parata sensazionale e decisiva: quella contro lo Swansea nei sedicesimi di Europa League. Posso sbagliarmi, anzi sbaglierò sicuramente. Non mi sono aiutato con Youtube apposta, stavolta non mi serve. Perché Reina, più che per qualche intervento prodigioso, assurge a icona assoluta, a “portiere del Napoli”, per il suo modo di interpretare e vivere e far sentire questo ruolo. Sul Napolista, anche recentemente, Anna Trieste ha definito “ommità” l’insieme di atteggiamenti, modi e pulsioni con cui Reina accoglie la responsabilità della terza linea e della maglia numero uno (venticinque). Io umilmente rilancio, la chiamerei “portierità”. Pepe gestisce i difensori, li motiva e li guida, è il leader dell’intera fase di non possesso. La sua voce pesa, e si sente e si vede. Poi c’è il gesto della parata, che otto volte su dieci va bene. Perché Reina è un portiere che sbaglia, sì. Bologna qualche giorno fa, ma anche Bergamo o Udine nella sua prima esperienza napoletana. Eppure non si discute, neanche dopo gli errori. Perché tutto il resto è fatto nel modo giusto, col piglio giusto.
Reina è stato “il” portiere del Napoli anche l’anno scorso, quando era insieme un rimpianto cocente e una speranza sempre meno velata di un immediato ritorno al futuro. Ha voluto onorare l’ossessione della carriera circolare, riassaporando col Bayern le vette del calcio europeo, seppur solo e sempre in panchina. Poi però ha rivoluto il Napoli, e il Napoli l’ha riaccolto a braccia aperte. In realtà non è mai andato via, lo dice anche lui stesso, e me ne rendo conto durante il mio viaggio su Youtube e in rete. Questo è virale, lo ricorderete: «I primi tempi a Napoli sono stati speciali, qui si piange due volte: quando si arriva e quando si saluta». Cercando altrove, mi imbatto in moltissimo altre quotes di questo tipo. Una per tutte: «Ho fatto in modo di tornare qui perchè sono innamorato pazzo della città». Per capire quanto e come il sentimento possa dirsi contraccambiato, torno su Youtube e riguardo per l’ultima volta prima la parata su Murillo e poi l’ovazione subito dopo il fischio finale di Napoli-Inter. Mentre i video scorrono, ripenso alla pioggia, alla bella ragazza, all’ombrello, al bagaglio a mano. Da zero a centomila, all’urlo del San Paolo. Sorrido, annuisco. Anche Napoli è innamorata di Reina.
Alfonso Fasano