Ieri Il Napolista ha pubblicato un’indagine statistica della difesa del Napoli. Leggendo e interpretando alcuni numeri, quello azzurro risulta essere il reparto arretrato meno “impegnato” del campionato. Nella linea a quattro di Sarri, però, c’è anche da registrare un generale miglioramento delle prestazioni individuali. È un altro parametro che è possibile verificare con i numeri ma che vive anche di altre dinamiche, non misurabili. La sicurezza, la leadership, la capacità di uscire, con un movimento, un tackle o una giocata palla al piede, da una situazione difficile. Sono tutti dettagli che in un computo statistico avrebbero lo stesso valore di un’altra giocata identica, fatta magari in una situazione più comoda. Ecco perché, allora, ci sono altri aspetti a far finalmente grande la difesa azzurra. Ecco perché, allora, il Napoli ha conosciuto davvero Raúl Albiol. Finalmente, viene da dire, anche in questo caso.
Nelle prime due partite del campionato, il centrale spagnolo commette tre errori gravi, grossolani: ribatte male di testa un pallone nella sfida di Reggio Emilia contro il Sassuolo, stende Fernando in area e si fa superare peggio che un birillo da Eder in Napoli-Sampdoria. Il Napoli perde cinque punti su sei. Sembra la condanna definitiva, del tempo e del campo, per un calciatore che non è mai riuscito, se non in partite che sono casi sporadici, a imporre davvero le sue qualità, a mostrarsi per quello che è (stato) e che ha dimostrato di essere. Lo leggi nel curriculum: il Valencia, il Real Madrid, la nazionale spagnola. Le vittorie nella Liga con Benitez e Mourinho, i due Europei e il Mondiale della Roja, seppur da comprimario. E poi, come definirla, una reputazione internazionale vera e verificata. Una credibilità reale, ecco: non da inventare, né da ricostruire.
Quando Raúl arriva a Napoli, via Benitez-Quillon, ci tiene a ringraziare l’allenatore spagnolo che «mi fa sentire di nuovo un uomo di fiducia e mi ha restituito la voglia di giocare». Dice di non vedere l’ora di giocare «in una città che sente tanto il calcio». L’inizio è una luna di miele, per il Napoli di Benitez e per lo stesso Albiol. Gioca sul centrodestra, è la guida spirituale di un reparto qualitativamente non eccezionale, composto da Maggio, Fernandez, Armero. Le difficoltà cominciano a venir fuori dopo l’autunno: più che nelle statistiche, si “vede” e si “sente” che Raúl non è tranquillo. Paradossalmente, sbaglia poco nella cosa più difficile, la gestione del reparto. I suoi errori sono semplicemente tecnici, di controllo palla o controllo spazio. Denunciano un’insicurezza di fondo che è sua come di tutto il Napoli. Alla fine del primo anno si dice «felice di aver vinto la Coppa Italia», ma afferma pure di «desiderare qualcosa di più».
Andrà addirittura peggio nella seconda stagione, di cui chi scrive ricorda una grandissima prestazione a Roma con la Lazio (0-1 gol di Higuain il 18 gennaio del 2015) e poi una serie di partite a cui appiccicare la dicitura «bene ma non benissimo». Errori sparsi, insicurezza sparsa. A maggio, mentre il Napoli butta via quanto di buono costrito nell’arco dell’annata, rilascia un’intervista a Panenka, mensile di cultura calcistica spagnola. Il contesto è un reportage su Napoli, molto criticato su Il Napolista per il sentore strisciante di camorra e luoghi comuni con cui la rivista inquadra la città. Alfonso Noël Angrisani scrive così di quell’intervista: «”Siamo in lotta con tutto il Nord Italia”, dice Albiol. Il difensore spagnolo parla di Napoli, una città che vive di calcio. Una tifoseria dal sangre caliente, che senza la pista di atletica sarebbe un vero inferno per gli avversari. Il ricordo di Diego è vivo ovunque. Racconta di Higuain, della maturità raggiunta e delle sue possibilità di diventare il trascinatore di questa squadra. Insigne un muchacho genial che ha un rapporto forte con la tifoseria e la città. Viene poi chiesto ad Albiol del suo rapporto col Vesuvio e scherzando il difensore ha risposto: “Ogni tanto guardo dalla finestra che vada tutto bene. È una terra vulcanica, immagino sia tutto sotto controllo”. Le rivalità con le squadre del Nord sono molto sentite, in particolar modo con la Juventus, in un Athletic-Siviglia manca questa componente».
La seconda parte dell’intervista segue la falsariga del reportage, con domande sulla camorra e sulla malavita in generale. Non vale la pena riproporle. Vale invece la pena parlare di quanto avviene in campo, del rapporto direttamente proporzionale tra il rendimento di Raúl e quello del Napoli di Sarri. Il difensore spagnolo è lo specchio della squadra azzurra: inizia piano, diciamo pure male. Gli errori delle prime due giornate di cui abbiamo già parlato, la sensazione che non sia cambiato molto. Sarri lavora su di lui come un artigiano al tornio, in realtà lo fa dai primissimi giorni di ritiro. A Luglio, l’allenatore azzurro dice tra il serio e e il faceto: «A Raúl ho fatto notare che sbagliava la postura in campo. Poi mi veniva da ridere perché avevo corretto un calciatore che ha vinto tutto, persino un Mondiale e due Europei con la Spagna». È la strada giuscia per rinascere. Albiol appare trasformato, di nuovo sicuro. Il modulo a quattro difensori e tre centrocampisti è un toccasana per lui, di nuovo leader riconosciuto di una linea armonica, attenta, precisa. Ci sono i parametri numerici, a dirlo: Squawka, sito di statistiche sul calcio, assegna per ogni calciatore un rating sulla partita, una sorta di voto che non tiene conto delle sensazioni di un giornalista, ma dei risultati di un calcolo matematico. Il rating totale di Albiol nella passata stagione toccava quota 549 su 35 partite, per una media di 15,67 punti per gara. Quest’anno, siamo già a 483 punti, in 21 partite. La media è salita fino a 23 punti ogni novanta minuti. Poi ci sono gli awards del sito, veri e propri premi che vengono conferiti, per ogni partita, a quello che è stato il miglior difensore, tutto e sempre sulla base di un algoritmo. Raúl è già a tre nomination, quest’anno. Lo stesso numero dell’intera stagione passata. E poi c’è la ciliegina sulla torta, che non guasta mai: il gol. L’ultimo lo aveva segnato il 25 gennaio del 2014, Napoli-Chievo 1-1. È tornato a segnare a Frosinone, una rete che ha lanciato gli azzurri verso il titolo d’inverno.
Poi ci sono le altre cose, quelle che non sono misurabili con le statistiche. L’atteggiamento, la sicurezza, la capacità di gestire la difesa e far rendere al meglio i tuoi compagni di reparto. Chiedere, per esempio, a Kalidou Koulibaly: il franco-senegalese ha un impatto anche mediatico diverso da Albiol, ma è il primo a godere della rinascita dello spagnolo. Che si era smarrito e oggi si è ritrovato. Albiol è di nuovo un leader riconosciuto. Della terza linea meno impegnata del campionato e forse anche di un gruppo, di uno spogliatoio. È il terzo angolo del diamante con Higuain e Reina che alcune voci vorrebbero come punti di riferimento tra gli stipetti di Castel Volturno. Forse è vero, forse no, fatto sta che le dichiarazioni d’intenti sembrano quelle giuste. Poche ore fa, in un’intervista molto “ufficiale” a Radio Kiss Kiss Napoli, Albiol riesce a sbottonarsi solo alla fine. Parla di quanto il gruppo-Napoli creda nell’ipotesi di vincere questo benedetto campionato: «Nello spogliatoio ci crediamo, allo scudetto, vogliamo rendere felice la gente di Napoli. Altrimenti, cosa stiamo a fare qui?». Finalmente, Raúl. Ben ritrovato, semplicemente.