Per la seconda volta consecutiva, Aurelio De Laurentiis si è presentato di sua sponte in conferenza stampa nel post-partita. Lo fece dopo il successo sul Torino (per fare gli auguri di buon anno), lo ha rifatto dopo la vittoria contro il Sassuolo. Tenere a freno il presidente del Napoli non è impresa facile. Ci teneva a far sapere che Sarri è stata una sua intuizione (il che, peraltro, è anche vero), ha espresso i suoi pensieri sul calciomercato e ha parlato con grande disinvoltura di Champions e di scudetto. Ostentata tranquillità, sicurezza nei propri mezzi, la consapevolezza di avere tra le mani un giocattolo – sono parole del presidente – destinato a migliorare strada facendo.
Poco dopo, nella stessa saletta, si è presentato Maurizio Sarri. Giustamente soddisfatto, sorridente, per la prima volta quest’anno primo in classifica da solo per due giornate consecutive. Ma piedi così piantati per terra che il tecnico toscano è balzato dalla sedia quando ha ascoltato la domanda di un giornalista che conteneva la certezza della partecipazione alla Champions. «Cazzo è gennaio e già siamo in Champions. Ma siamo a gennaio, cazzo». Non arrabbiato, però fermamente deciso a riportare l’ambiente sulla terra. Non si è nascosto dietro nulla, non ha nascosto il primo posto in classifica né l’ottima prestazione del Napoli che ha rimontato a una squadra – il Sassuolo – che fin qui non aveva mai perso quando era andata avanti di un gol. Non ha fatto esercizio di falsa modestia. Ma di un sano pragmatismo sì.
Ed è uno degli aspetti che più sorprende di questo allenatore che sta meravigliando non solo per quanto riesce a trasmettere ai suoi calciatori in campo. All’inizio della serie di vittorie (Lazio, Juventus, Milan), era evidente che Sarri stesse vivendo una situazione per lui del tutto nuova. Se l’è sempre cavata bene, più che bene, e lo ha fatto scegliendo la strada più intelligente: rimanere fedele a sé stesso. Ora, però, Sarri sta offrendo una prova di maturità. Non si nasconde più e allo stesso tempo non si lascia travolgere dalle onde. Mostra di sapere che il peccato di vanità è sempre dietro l’angolo e ti castiga proprio nel momento in cui ti sollevi leggermente da terra.
È quel che la polemica – per fortuna superata – dei festeggiamenti al termine della partita non è riuscita a cogliere. Purtroppo Napoli è una sorta di Jessica Rabbit, la disegnano così. E sono rotondità che convengono, talvolta persino a chi è napoletano e cerca di accreditare un’immagine opaca e sclerotizzata della città. Mai come questa volta, invece, Napoli e il Napoli sono lontanissimi dagli stereotipi che vorrebbero immortalarci mentre pasteggiamo a spaghetti con le mani nei piatti o ci svegliamo al ritmo di funiculì funiculà, intenti a ballare la tarantella aspettando che esca il caffè.
Napoli oggi è molto più Sarri che De Laurentiis. Quel saluto a fine gara è non solo un ringraziamento ma è soprattutto una sorta di contatto fisico, di rassicurazione reciproca. “Sappiamo che ci siete e lo stiamo facendo anche per voi”. E badate che chi scrive è stato sempre ferocemente critico nei confronti del pubblico del San Paolo e in cuor suo resta convinto che quando si vince sono buoni tutti. Però è un dato di fatto che questo Napoli ha stabilito un contatto fisico col proprio pubblico.
Fisicità che – e questa è un’altra sorpresa – appartiene anche al giocatore più rappresentativo di questo Napoli: Gonzalo Higuain, la cui carriera evidentemente non ha mai rispecchiato la sua reale personalità. Perché, siamo sinceri, chi ha giocato nel River e nel Real Madrid difficilmente è da Napoli. L’unico che ha compreso la reale natura di Higuain è stato Maurizio Sarri. L’unico che gli ha offerto quella fisicità, quella vicinanza, quel calore di cui evidentemente Gonzalo aveva bisogno. Oggi quel numero 9 è un altro giocatore. E non solo perché ha segnato venti gol in venti partite ma per come si comporta, per come si sacrifica, per come si scioglie in quei sorrisi (persino davanti a un tavolo da biliardo) che sono la certificazione di una serenità ritrovata.
In questo, Napoli non ha rinnegato sé stessa. Ma non nel senso folcloristico. È una squadra che ha ritrovato calore, un gruppo in cui ciascuno sente che può contare sul compagno. Risalire una partita dopo un rigore subito al secondo minuto, mentre sei primo in classifica e tutti ti vogliono tirare giù, non è per niente facile. Il Napoli lo ha fatto. Ma è perfettamente consapevole che il percorso per raggiungere il traguardo è lunghissimo e pieno di insidie (così come varrebbe la pena prima o poi sull’importanza kavafisiana del viaggio, a prescindere dal traguardo). Lo sa Sarri. Lo sa la squadra. E lo sa anche la città. E in realtà, a pensarci bene, non siamo nemmeno di fronte a chissà quale grande sorpresa. La storia di Napoli non è certo una storia di sbruffonerie o di superficialità. L’aspetto preoccupante, semmai, è un altro: non è nemmeno, tranne rare eccezioni, la storia di grandi resistenze, di grandi capacità di tenuta nei momenti di difficoltà. Sarà in quei frangenti che capiremo quanto siamo effettivamente cresciuti.