Ora che finalmente siamo lì su, dobbiamo pensare a come rimanerci fino alla fine del campionato.
La squadra c’è e non è campione d’inverno per caso o per fortuna. Non siamo lì grazie a pacchi di rigori, a lunghe teorie di vittorie per 1-0 e né siamo lì per demeriti degli avversari. Anzi, i nostri avversari si sono fatti apprezzare, tanto che dopo le partite in casa con Inter e Fiorentina, ascoltando i commenti televisivi del dopopartita, sembrava avessero vinto loro al San Paolo. Invece aveva vinto il Napoli, come con la Lazio e la Juventus.
Detto questo, dobbiamo pensare che il nemico del Napoli si nasconda nella testa dei giocatori, dell’allenatore e dei tifosi. Cioè nell’atteggiamento mentale della squadra. L’idea di essere vincenti è qualcosa d’immateriale che non si può trovare da nessuna parte: è uno stato mentale. Che si può acquisire ma non acquistare.
Spesso diciamo che la Juve è l’unica che ci fa paura perché è abituata a vincere. È proprio così. Quella squadra scende in campo con la presunzione di essere più forte di tutti e di dover vincere a qualunque costo. Se prende un gol, non si deprime, ma lo valuta come un affronto fatto da un nano a un gigante e reagisce di conseguenza.
Noi possiamo andare anche oltre questo consolidato atteggiamento mentale in bianco e nero. Oltre che colorarlo con il bel gioco, dobbiamo trasformare l’abitudine a vincere in un vizio, cioè in qualcosa che dà dipendenza, qualcosa di cui non se ne può fare a meno, qualcosa per cui stai male se non soddisfi un certo desiderio. Inoltre bisogna abituarsi a vincere e a metabolizzare subito i successi rendendo così normale ciò che una volta poteva apparire straordinario.
Se non avessimo una squadra all’altezza della situazione, questo atteggiamento potrebbe essere definito arrogante e presuntuoso, ma la squadra è sicuramente tra le più affidabili del campionato e ora è convinta di essere una grande anche a livello europeo.
Ascoltando i commenti di Sarri, si capisce che anche psicologicamente il buon Maurizio ci sa fare. Dopo un 5-1 poteva dire frasi tipo: se giochiamo così partita dopo partita possiamo sperare… o frasi simil-banali. Invece ha detto che la squadra ha ancora molti margini di miglioramento e si deve lavorare per raggiungere un livello di gioco ancora superiore.
È come se avesse detto: questa vittoria per noi è normale e lavoreremo per abituarci a questa normalità rendendo i successi sempre più tali.
Per lunghi tratti il gioco degli azzurri è stato musica. A Frosinone, ma anche altre volte, il Napoli mi è apparso come una orchestra composta da grandi solisti.
Nelle orchestre in generale e in quelle sinfoniche in particolare, si rispetta lo spartito nei minimi particolari. Basta che uno strumentista sia fuori tempo di una frazione di secondo, o una nota non sia perfettamente eseguita, che il direttore d’orchestra se ne accorge e tenderà a correggere l’errore anche se buona parte del pubblico non ha colto la leggera imperfezione esecutiva. Nelle jam session di jazz o anche nel rock, sempre o spesso s’improvvisa e si dà spazio all’estemporaneità del solista. Avviene che i vari musicisti si alternano in assoli con i loro strumenti liberando la loro creatività e dimostrando tutte le loro capacità.
Così mi sembra che si esprima il gioco del Napoli quando decide di abbandonare la rigidità dello spartito, pur se splendido e di successo, e lasciare via libera all’inventiva dei solisti.
La palla, lo strumento dei nostri solisti, che fino a quel momento aveva seguito linee e figure euclidee girando veloce in schemi tattici, improvvisamente viene presa da un solista che vuol esibire la sua abilità e deliziare gli spettatori. Così Hamsik prende la palla da Callejon nella propria metà campo, fa 60 metri d’assolo e conclude il suo show in rete.
Higuain, come appunto in una jam session, pensa: ora vi faccio vedere il mio assolo e capirete quanto sono bravo: prende la palla e con un virtuosismo zigzagato esalta le sue grandi capacità d’esecuzione. Gabbiadini a sua volta si esibisce in un pezzo di una nota sola: il suono si alza, poi attenua i suoi decibel in una parabola che si smorza magicamente in rete.
Poi la band riprende a suonare in sintonia, seguendo lo spartito scritto dal direttore d’orchestra e stordendo gli avversari fino ai prossimi attesi exploit.
Questa capacità del Napoli di passare rapidamente da una esecuzione codificata del gioco a fasi d’improvvisazione estemporanea dello stesso, è forse l’arma vincente di questa squadra, la sua nota distintiva nel modo di stare in campo, rendendola anche decisamente imprevedibile e quindi difficile da contrastare.
Conoscendo ormai il lavoro ossessivo di Sarri nel non lasciare nulla al caso, penso sarebbe capace anche di questo: cioè di aver messo a punto una sorta di imprevedibilità programmata nello sviluppo del gioco.
E scusate l’ossimoro.