Non è necessario schierarsi con Sarri per stigmatizzare la ipocrita strumentalizzazione che di questa banale vicenda sta facendo lo scafato Mancini e, con lui, il solito coro di giornali e televisioni impegnato,come sempre, ad assegnare la medaglia del censore più irreprensibile.
Non sto con Sarri ma con il buon senso, contro il moralismo di maniera di chi ogni tanto finge di scandalizzarsi quando, cadendo dal cerasiello o dall’albero di fico, scopre quello che succede prima, durante e dopo una partita.
Durante gli studi universitari, tantissimi anni fa ahimè, facevo il fotografo e la domenica ero a bordo campo per documentare quello che accadeva. Un vecchio capo-cronista di Paese Sera ebbe una divertente idea e mi propose di scrivere dopo ogni partita una trentina di righe per una rubrichetta che volle chiamare “Microfono in Campo”. Avrei potuto soddisfare la curiosità di ogni spettatore e raccontare finalmente quello che arbitri, giocatori ed allenatori si dicono tra loro durante i 90 minuti. L’idea mi sembrò geniale ed accattivante ma la sua realizzazione impossibile perché mi sarei dovuto limitare ad un lungo elenco di insulti, bestemmie e parolacce. Decisi quindi di tradire gli obblighi di verità del cronista e, di volta in volta, nobilitavo i miei idoli facendogli dire quello che ogni tifoso si aspettava: un po’ di amore per la maglia, furore agonistico e tanta retorica buonista. Bastò un po’ di fantasia e la rubrica ebbe molto seguito e tanto successo.
Chiunque ha praticato, o seguito da vicino, qualsiasi sport di squadra sa bene che molto spesso ci scappa l’insulto, la bestemmia e la scorrettezza. Accade nella pallanuoto, nel basket, nel calcio e persino nel rugby, sport enfatizzato come modello di lealtà e correttezza. Chi nega questa evidenza, o fa finta di non conoscerla, mente sapendo di mentire. Consuetudini poco eleganti, sì certo, ma comunque peccati veniali che fanno parte delle regole del gioco da sempre accettate e tollerate da protagonisti, spettatori e commentatori. I giocatori e gli allenatori d’altronde non sono, né devono essere, esempi o modelli di comportamento perché fanno un altro mestiere ed hanno altri obblighi, diversi da quelli degli educatori.
Non voglio fare l’elogio del trivio ma è davvero insopportabile la semantica dell’insulto. Se Sarri avesse usato un altro appellativo per offendere Mancini se la sarebbe cavata con una ramanzina affettuosa e, nella opinione di tutti, avrebbe prevalso, ancora una volta, la insopportabile retorica dell’allenatore in tuta, dell’uomo di campo, un po’ naif al quale si può perdonare l’improperia perché fa tanto personaggio. L’omofobia, il razzismo, la violenza negli stadi sono questioni serie ed importanti che andrebbero affrontate utilizzando ben altri spunti e non strumentalizzando un attimo di incontrollata incazzatura dell’allenatore che sta perdendo una partita importante. Troppo facile così levarsi dalla coscienza il peso di mille silenzi e di tante omissioni di fronte a ben più serie e gravi occasioni che troppo spesso gli stadi ci hanno regalato in questi anni.
Sarri è stato lasciato solo dalla Società, sempre assente nei momenti difficili, nel giorno più delicato da quando è a Napoli e abbandonato ad un linciaggio mediatico senza precedenti. Trovo che questo sia ben più grave, superficiale e deprecabile della sua inopportuna caduta di stile.
Si vince tutti insieme e proprio ieri al termine di una serata da dimenticare, non solo per il risultato sportivo, dal pubblico del San Paolo è arrivata la risposta migliore, quella che si aspettava da anni, con un sincero e caloroso abbraccio alla squadra nonostante la sconfitta e la eliminazione, ed è proprio da questo atteggiamento finalmente maturo e responsabile che bisogna ripartire per chiudere questa parentesi così triste e provinciale ed evitare di ripiombare nella sindrome da complotto nordista contro il Napoli e i Napoletani.