Il caso Sarri-Mancini è stato approcciato e declinato in ogni modo possibile, da ogni lato. La sentenza di Tosel (due giornate da scontare in Coppa Italia) chiude una vicenda che, comunque vada, segnerà uno spartiacque nella stagione del tecnico azzurro, e non solo per la squalifica. O meglio, non solo per la squalifica in sé, ma anche per quello che rappresenta e per le ripercussioni che potrà avere in termini sportivi, di campo.
Abbiamo scritto di quello che, in qualche modo, è il precedente più illustre e simile (anche se l’entità della squalifica è imparagonabile), il caso Scopigno-Cagliari del 1970: uno scudetto vinto senza allenatore in panchina, squalificato cinque mesi per aver insultato un guardalinee. Ma c’è altro, molto altro: la storia del calcio, non solo italiano, è piena di “gruppi cementati” dalle avversità fuori dal campo, di calciatori che, come si dice in gergo, “fanno quadrato” intorno a loro, al loro allenatore, e alla fine escono fuori più forti di prima. E vincono.
Gli esempi più calzanti, in questo senso, vengono dalla Nazionale italiana di calcio. Pensateci: gli ultimi due titoli vinti dall’Italia “nascono” dai due scandali più gravi della nostra storia sportiva, il primo “Calcioscommesse” (1980) e il castello di Calciopoli (2006). Nel primo caso, la squadra di Bearzot era composta da calciatori che avevano appena finito di scontare una squalifica (Paolo Rossi su tutti, alla fine del Mondiale capocannoniere e poi Pallone d’Oro) e che vennero persino “scomunicati”, oltre che dalla stampa, dal presidente federale Sordillo (testuale, dopo un’amichevole contro i portoghesi del Braga: «Se l’Italia è questa, torneremo subito a casa»). Apriti cielo dopo il girone passato con tre pareggi su tre contro avversari modesti, Polonia, Perù e Camerun. Agli attacchi a pioggia, la risposta del silenzio stampa. Parla solo Zoff, eufemismo, con i cronisti al seguito. Qui nasce il miracolo Mundial: le storiche vittorie su Argentina e Brasile, poi è la volta della Polonia in semifinale. Il giorno dell’ultimo atto, nel primo tempo c’è un rigore per l’Italia: tira Cabrini, fuori. Proprio Zoff racconterà che quell’episodio ha dato agli azzurri «l’ultima mano di rabbia. Il Mondiale, dopo questo penalty sbagliato, non lo perdiamo più». Esatto. 24 anni dopo il canovaccio è diverso, ma l’esito è praticamente identico: l’Italia è scossa dal caso-Moggi, quello che poi diventerà Calciopoli. La Juventus è sotto accusa e attacco ma intanto fornisce buona parte dell’undici titolare alla nazionale dell’ex bianconero Lippi. Qualcuno invoca la “richiamata” dei bianconeri, tra cui Buffon e Cannavaro, indegni di rappresentare l’Italia quando in Italia stanno succedendo cose così. Poi, mentre gli azzurri preparano Italia-Ucraina, la vicenda del tentato suicidio di Pessotto, tragedia umana che fa ancor più da collante in un gruppo unito, coeso, vincente. Sarà il trionfo, in finale contro la Francia. Ma anche contro l’Italia dei buonisti, rimasta a casa a festeggiare.
Il calcio di club propone altri casi, anche più recenti rispetto al Cagliari ’70: quarant’anni dopo Scopgino, Mourinho lancia in Italia l’immagine dell’allenatore in manette a bordocampo, una immagine che fotografa perfettamente una strategia mediatica da “tutti contro di noi”. Sarà ripresa, pochissimi anni dopo, da Antonio Conte e la sua prima Juventus che in campo e negli atteggiamenti di alcuni calciatori (Bonucci che si sciacqua la bocca a ogni gol, ad esempio) mostra una “fame” un po’ atavica, forse figlia proprio degli anni di Calciopoli e di una rifondazione che ci ha messo qualche anno più di quanto previsto. Pure Conte fu squalificato, retaggio di un altro Calcioscommesse, subito dopo il primo scudetto: Carrera in panchina lo ricordiamo anche nella Supercoppa del 2012. Quella Juventus, senza di lui, superò da prima in classifica il girone di Champions e vinse contro il Napoli, oltre alla partita di Pechino, anche lo scontro diretto in campionato. E poi c’è Maradona, noblesse oblige perché si gioca in casa: dopo Fiorentina-Napoli del gennaio 1987, Diego si presentò in zona mista e disse a Marcello Giannini che il Napoli, quel giorno, «non ha giocato solo contro i viola, ma contra tutti quanti» in riferimento all’arbitraggio di Lanese che negò anche un rigore a Bagni. L’inviato Rai provò a fargli correggere il tiro, ma Maradona proseguì. Alla fine, fu squalificato.
Il Napoli vinse quel campionato. Maradona si fece sentire anche in occasione della semifinale del 1990 («Ci hanno sempre chiamato africani, ora l’Italia si ricorda di Napoli») e sarà ripagato da una Napoli divisa tra lui e la Nazionale. Vinse ancora, ma poi fu sconfitto dalla Germania (e dall’arbitro) in finale a Roma dove fu fischiato da uno stadio intero.