La sera del 25 aprile del 2006, uno dei calciatori più romantici nella storia del gioco, Juan Romàn Riquelme, va a battere un rigore discretamente importante. È la semifinale di ritorno di Champions League, in campo ci sono due squadre che non sono mai approdate in finale. Solo che una rappresenta la storia del calcio in senso stretto, e per di più si chiama Arsenal; l’altra, invece, veste il giallo e rappresenta un sobborgo spagnolo di 50mila abitanti. È il Villarreal. Quel penalty porterebbe il Submarino Amarillo ai supplementari, in casa sua. Invece va così:
Cinque mesi e quindici giorni dopo, un giovane centrocampista fa il suo esordio con il Villarreal. Si chiama Bruno Soriano, è un classe 84 e ha fatto tutta la trafila giovanile nella cantera del club. Lo stesso club di cui oggi è capitano e con cui si appresta ad affrontare il Napoli per il terzo doppio confronto, a quattro anni dall’ultimo. Anche se lui potrebbe non giocare a causa di un infortunio: la sua presenza è a rischio e sarebbe una assenza importante per il Villarreal.
Strana la storia di Soriano: in nome della fedeltà alla sua squadra, ha attraversato e (ri)attraversato le traiettorie che di solito compongono in un certo ordine la carriera di un calciatore. Le giovanili, il lancio in prima squadra e poi l’ascesa verso i grandi palcoscenici europei e la scelta di mantenersi a questi livelli. Soriano, invece, ha vissuto pure tutto questo ma poi è tornato indietro, ricominciando daccapo dopo una retrocessione e rimettendo insieme i cocci del Villarreal. Succede nel 2012, quando ha già giocato 4 partite in Nazionale (la Spagna, non Andorra) e 42 tra Champions ed Europa League. Il Villarreal, che giusto sei mesi prima aveva affrontato lo stesso girone di Napoli, Bayern Monaco e Manchester City, si ritrova in Segunda Division ed è costretto a dire ciao ciao a tutti i migliori calciatori. Qualche nome, tanto per gradire: Diego López, Gonzalo Rodríguez, Nilmar, Borja Valero, Giuseppe Rossi e Marco Ruben.
Soriano decide di rimanere, è il simbolo della squadra che a gennaio 2013 è decima nella seconda serie spagnola e assume un nuovo allenatore, Marcelino Garcia Tonal. La scelta giusta, facile dirlo con il senno di poi. Il Villarreal arriva addirittura secondo a fine anno, la promozione arriva in carrozza. In due stagioni e mezzo, il Submarino Amarillo si è già ricostruito il suo posto nella Liga e nel calcio continentale, con due qualificazioni all’Europa League e l’arrivo di molti giocatori promettenti (Il Napolista scrive qui della squadra spagnola). Non rinuncia però a Soriano, che, anzi, vede e rilancia. Quella in corso è la sua miglior stagione in Liga quanto a realizzazioni (cinque, record personale e siamo solo a febbraio), la fascia di capitano e la regia di una squadra che gioca a memoria fanno capo a lui. E poi una nuova dimensione internazionale e individuale, coronata dal ritorno nella Roja nel novembre 2014, una gara di qualificazione a Euro 2016 e la prestigiosa amichevole contro la Germania neo campione del Mondo. Soriano è tornato dall’inferno, più forte che mai.
Affidata a Soriano anche la guida carismatica, ci mancherebbe: su Marca, Bruno carica i suoi in vista della sfida di giovedì dicendo che «il Napoli non è superiore a noi. Quella contro i partenopei sarà una gara molto equilibrata, nella quale avremo certamente le nostre opportunità. Noi siamo molto forti in casa e lo dimostreremo anche in questo turno dei sedicesimi di finale. Abbiamo abbastanza esperienza in queste partite ad eliminazione diretta e siamo in un ottimo momento di gioco e di risultati».
Niente paura, dunque. Anche perché Marcelino e i suoi vengono da undici partite consecutive senza sconfitte in Liga e da tre vittorie casalinghe nel gironcino di Europa League. Sono quarti in classifica e hanno già fatto capire, con le parole di un altro uomo-simbolo, Roberto Soldado, che quella di giovedì è «la partita della vita». “Una” partita della vita per Soriano che ne ha giocate altre anche più importanti e taglierà il traguardo della presenza numero 408 con il club in cui ha sempre giocato. Di cui è bandiera e da cui non è riuscito a separarsi, anche quando c’erano solo da rimettere insieme i cocci.