
Sarri. È lui il segreto e il fascino di questo Napoli. È lui la forza. C’è poco da dire. Ha creato una macchina perfetta che gioco in modo armonioso, che danza, che sa sempre cosa fare, che lo fa col sorriso sulle labbra e divertendosi. E, badate bene, che il Napoli non è solo quel che si vede nelle azioni in tv, le accelerazioni di un Hamsik trasformato, il piede vellutato di Insigne, i polmoni di Callejon, oltre a Gonzalo Higuain. Impressiona di questo Napoli il backstage, quel che nei “riflessi filmati” non appare. Il giocare corto, il chiudersi e il riaprirsi a fisarmonica, lo strappare dai piedi degli attaccanti avversari palloni come se da quei tackle dipendessero le sorti dell’umanità. Sembra contraddittorio eppure quando attacca, il Napoli è delicato, sinuoso, seduttivo. È nell’altra fase che si è trasformato, in quella difensiva, nel recupero del pallone. Mostra una ferocia che colpisce e intimorisce. Mi si perdonerà: il Napoli ieri ha giocato da Empoli, ha impartito una lezione di tattica e di agonismo. Al di là della tecnica individuale dei solisti che è ovviamente imparagonabile.
Tutto questo è merito di Sarri. Che ti conquista quando, in sala stampa, all’ennesima domanda sul calciomercato risponde così: «L’altra sera stavo girando un po’ i canali (non dice zapping, dice “girando i canali”, ndr), ho ascoltato un bambino dire che il suo sogno da grande è diventare esperto di mercato. E mi son detto: pensa te come siamo ridotti, i bambini oggi non sognano più di diventare calciatori ma esperti di mercato». Sarri. Il fanciullino. Il suo essere naif, che non può non affascinare. Quando Sarri fa Sarri, è impossibile resistergli. La tuta diventa una perfetta metafora del suo modo di approcciare la vita, non solo il calcio.
Non sempre, però, Sarri fa Sarri. Come quando non si risparmia qualche battuta sul calciomercato (“evidentemente il Napoli non ha cambiato gli obiettivi di stagione”) che diventa una delle ultime liane cui il tifoso può appigliarsi perché troppa è la paura di andare a giocarsela in mare aperto contro un avversario che all’apparenza sembra uno squalo e che comunque nuota più lentamente di noi. Però ieri in sala stampa c’è stato un altro episodio che mi ha fatto comprendere quanto sia complesso rimanere Sarri con tutti questi riflettori puntati.
Alla fine della conferenza, invece di dirigersi come al solito verso l’uscita, Sarri si è diretto verso la platea. Saranno stati sì e no due-tre metri, eppure è sembrata una scena rallentata: a ogni passo, Sarri ringiovaniva, si liberava di diversi pesi e sul suo volto si faceva progressivamente strada un sorriso disteso, così diverso dalle risate comunque cariche di tensione che pure di tanto in tanto regala in sala stampa. Maurizio Sarri stava andando a salutare una coppia di giornalisti di Empoli. Li ha abbracciati e ha mostrato verso di loro una tenerezza che non poteva lasciare indifferenti. È come se per quei pochi minuti Sarri si fosse nuovamente proiettato nella dimensione di provincia, dove la tensione e le pressioni sono ovviamente imparagonabili a quelle che vivi quotidianamente a Napoli e nel calcio italiano da primo in classifica. Pochi minuti illuminanti su quanto sia arduo, anche per un personaggio non banale e con una struttura certamente robusta come Sarri, rimanere se stessi quando si è sottoposti a tante sollecitazioni continue. Viene in mente quanto sia faticoso reggere a tutto e quanto sia semplice smarrire, sia pure per poco, la propria spontaneità.
Sarri di fatto, col suo lavoro, ha proiettato sé stesso e il Napoli in una dimensione inimmaginabile la scorsa estate. Oggi il Napoli è primo in campionato, ha il quarto miglior attacco d’Europa, gioca un calcio che sembra finto per quanto è perfetto. Il paradosso è che questo livello di assoluta straordinarietà è stato raggiunto anche grazie a una diversità di spirito e di approccio. È questa diversità, questa originalità, questo essere naif, che Sarri deve assolutamente proteggere. Non possiamo diventare come gli altri, perché su altri terreni non possiamo competere. Non ne abbiamo la forza.
Sul campo, invece, siamo decisamente i più forti. E più a lungo riusciremo a mantenere vivo il concetto del giocare a pallone, semplicemente a pallone, meglio sarà per noi. Sul campo, Sarri ha fin qui vinto tutte le sue battaglie. Persino quella del turn over. Contro l’Empoli, il Napoli ha corso dall’inizio alla fine, pur essendo la squadra che ha l’undici di base con più minuti nelle gambe di tutta la serie A (con almeno duemila minuti in più rispetto alle altre), così come ha lo scarto (sempre di minuti giocati) più ampio tra l’undicesimo giocatore utilizzato (Insigne) e il dodicesimo (Mertens): 1548 contro 655, quasi mille minuti di differenza. Tanto per fare qualche paragone, nella Juve l’undicesimo è Lichtsteiner con 1005 minuti e il dodicesimo è Khedira con 939; nel Verona sono Toni (899) e Jankovic (837) e potremmo continuare a lungo. È l’idea di calcio di Sarri e i fatti gli stanno dando decisamente ragione. È l’idea che lui si è fatto in decenni trascorsi sui campi da gioco. Magari tra qualche anno il turn over sarà ricordato come la Corazzata Potemkin nei giudizi del ragionier Fantozzi.
Nel campo, sul campo, comanda Sarri. E potremmo andare avanti all’infinito. Dal mostruoso Higuain al monumentale Hamsik. È il campo la nostra forza. Il gioco del calcio. Più Sarri mantiene la partita su questo terreno, più a lungo ci divertiremo.