Al secondo gol di Higuain, ho esultato come non facevo da tempo. Ero contento più delle altre volte, perché il Napoli ha vinto una partita in un modo che quest’anno non gli appartiene. Cuore, insistenza, spinta continua. Gli inglesismi del calcio raggruppano questi concetti in una parola sola: forcing. Puro forcing. Una roba che si è vista molto quando c’erano Mazzarri, Lavezzi e poi Cavani, che ricordo a Doha contro la Juventus in Supercoppa e poche altre volte nel biennio di Benitez. Mai, quest’anno, con Sarri.
A me piace vedere un certo tipo di calcio. Concetti, principi, sistemi. Il Napoli di Napoli-Genoa, così come la stessa partita in senso assoluto, non ha quindi potuto soddisfarmi appieno: troppo diversa questa edizione del Napoli, troppo distante dalla squadra-meccanismo-perfetto che abbiamo ammirato da inizio anno. Soprattutto nel primo tempo, i ragazzi di Sarri non tenevano bene il campo, erano sfilacciati nei reparti e non riuscivano mai a coprire la distanza tra difesa e centrocampo. Tutte le azioni, più che manovre organizzate in un’idea, finivano per diventare strappi improvvisi verso la porta del Genoa. Certo, ci può stare: la frenesia di voler pareggiare, una condizione psicologica difficile dopo il gol a freddo di Rincon, la serata di grazia di un signor portiere come Perin. Difficile rimanere freddi e razionali in queste situazioni. Quindi, a quel punto, ero certo: non l’avremmo mai rimessa in piedi. Non era da Napoli. O, almeno, non era da e per questo Napoli.
E invece, ecco la sorpresa. Non tanto per il risultato finale, alla fin fine pure meritato, quanto per il modo in cui è stato cercato e in cui è arrivato. Sarri si è sbilanciato inserendo Gabbiadini e Mertens, il Napoli si è sbilanciato lasciando a Cerci due occasioni a dir poco ghiotte. Io inorridivo, ma al tempo stesso ero orgoglioso di questi ragazzi. Che hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo, che hanno rinunciato a essere sé stessi pur di portare a casa la vittoria. Poco prima del gol-meraviglia di Higuain, ho pensato: «Questa squadra è commovente». Perché ci crede, anche quando sembra che gli eventi ti abbiano definitivamente voltato le spalle.
Il tiro perfetto di Higuain che tocca il palo prima di finire dentro è una metafora eccellente: il Napoli di Sarri, bellissimo e utopico come il destro del Pipita, ha dovuto cercare il colpo di sponda per sfangarla e vincere. Non gli schemi provati e riprovati, ma l’acuto isolato del grande campione dopo una partita di errori e sofferenze. Di predominio territoriale, ok, ma anche di topiche clamorose che non sono mai appartenute a questa squadra. Il Napoli di quest’anno, senza Higuain, avrebbe cinque-sei punti in meno. Ma questa sera non avrebbe mai potuto rimontare. Napoli-Genoa è stata Higuain-dipendenza pura.
Napoli-Genoa 3-1 ha fatto conoscere un Napoli nuovo, che non si era mai visto prima. Organizzato solo a tratti, svampito, distratto. Che ha dovuto realmente appendersi al suo campione per rimanere in scia alla Juventus e a un sogno. Che ha sofferto perché non è stato, e non ha potuto, essere sé stesso. Ma ce l’ha fatta comunque. Ha portato a casa una partita in cui meritava, sì, ma non per bellezza assoluta. Per cuore, insistenza, spinta continua. Quello che mancava a questa squadra, ora consapevole di poter vincere anche male. Esattamente quello che serviva. Esattamente quello che servirà per crederci ancora.