Oggi, siamo in molti a doverci cospargere il capo di cenere. Non fosse altro per un secondo posto a tre punti dal primo, uno splendido penultimo piano che dà sul cortile Champions e non è molto lontano dal superattico con vista scudetto. Il Napoli di Sarri si è spinto fin qui partendo a fari spenti, poi se li è accesi da solo: il gioco più bello e redditizio del campionato, Gonzalo Higuain, la riscossa degli “sviliti da Benitez”, Hamsik e Koulibaly su tutti. Insomma, ha dimostrato quante possibilità di crescita ci fossero dietro il progetto dell’allenatore spagnolo, che si è perso al momento del dunque dietro una testardaggine tattica prossima all’autolesionismo.
Probabilmente, il Napoli non vincerà questo campionato proprio perché quella vista durante l’anno è la miglior versione possibile di sé stesso: prendiamo un Napoli-Empoli come esempio di “partita spettacolare” o un Lazio-Napoli come “match tirato”, e forse individueremo un Napoli senza margini di miglioramento. Volessimo andare più indietro, tipo a Napoli-Fiorentina o Milan-Napoli, le cose cambierebbero di poco. Abbiamo visto la miglior squadra che potevamo vedere, senza se e senza ma. Non è questione di mercato, di riserve o di panchina lunga. O meglio sì, lo sarebbe pure quando analizziamo il rendimento sulla doppia, o tripla, competizione. Se però ci soffermassimo al solo campionato, cosa avremmo da recriminare a questa squadra? Un pareggio interno col Milan e uno esterno con la Fiorentina? O la sconfitta di Torino all’88esimo su un tiro deviato? Non scherziamo.
Tutto è perfettibile o migliorabile, ma parliamo di episodi. Immaginare che André Gomes, o chi per esso, potesse evitare il tocco balordo di Albiol o il colpo di testa di Alonso nella sfida del Franchi è pura fantascienza. Ecco quindi che, più che su un passato di rimpianti che non esistono, la vera domanda su cosa possa diventare il Napoli deve avere una dimensione temporale rivolta al futuro. Cosa e come fare di più rispetto alle tante cose belle viste in questa stagione.
Non è facile pensarci ora, con uno scudetto ancora da giocarsi. Ma è quantomeno giusto predisporci e predisporsi a farlo. E in entrambe le declinazioni, quella più puramente tattica e poi quella, più affascinante, del calciomercato prossimo venturo. Due situazioni che si intrecciano, certo, ma che non possono perché non devono prescindere da Maurizio Sarri. Il tecnico toscano, volendo semplificare, ha riunito in sé i più grandi meriti dei suoi predecessori. E tagliato via i difetti. In campo, ha sistemato la squadra nell’unico modo che permetteva lo sfruttamento massimale dei suoi punti forti. Il gioco offensivo di Benitez e l’intensità di Mazzarri, una specie di utopistico incontro a metà tra Cavani e Higuain, Lavezzi e Callejon, Gargano e Jorginho; e poi la (quasi) rinuncia a sé stesso, l’abbandono di uno schema-dogma per elevare all’ennesima potenza le possibilità degli interpreti. Quello che, stringi stringi, è mancato ai suoi due predecessori: troppo “provinciale” Mazzarri con il suo Napoli di garra, troppo avveniristico e distratto il Napoli di Benitez. E guai a cambiare, non sia mai.
L’evoluzione di questa squadra, almeno restando al semplice fattore campo/tattica, è, proprio per questo, difficilmente comprensibile. Ma bisogna fidarsi: Sarri ha avuto la consistenza fluida dell’acqua, ha saputo rinnovare e rinnovarsi. E questa è una garanzia per qualsiasi futuro questa squadra potrà costruirsi. Diciamolo in soldoni: con o senza Higuain, abbiamo la certezza che il nostro allenatore troverà la formula giusta. O, quantomeno, la garanzia che il possibile sarà fatto. E non è poco.
Poi, ovviamente, c’è da fare, tutti insieme, il salto di qualità. A meno di clamorosi ribaltoni, il Napoli giocherà almeno il preliminare di Champions, dunque (ri)entrerà da protagonista nella formula uno del calcio. Sarri, quindi, deve spingersi oltre sé stesso. Una cosa che gli è sempre riuscita, in una carriera che l’ha visto partire dallo Stia e l’ha portato fino a Higuain e a tre punti dalla Juventus. Però ora c’è lo step successivo, che crea variabili nuove: una gestione di due competizioni grandi e importanti fin da subito, partite decisive sempre e la necessità di non scontentare nessuno in una squadra che si allargherà. Come quando uno comincia ad andare in palestra: prima riscopre la sua capacità di fare attività fisica, poi entra in forma e perde peso. Ma poi deve mettere massa, altrimenti resta fermo. Lo deve fare Sarri, evolvendosi in vero allenatore internazionale. Ne ha la capacità, l’ha dimostrato. Deve solo fare la cosa più difficile: confermarsi. E poi lo deve fare la squadra, intesa come organico.
Ecco che allora entra in gioco la seconda grande discriminante del Napoli che verrà: il mercato. Sarri non ne parla, l’abbiamo capito. Cioè, meglio: ne parla con i sottintesi, mettendo in gioco le cifre di un fatturato che poi, alla fine, dicono la verità su quello che è. Ovvero, Napoli giocoforza orientato ad acquisti mirati, prospettici e non troppo dispendiosi, soprattutto alla voce ingaggi. Il destino del Napoli si decide qui, esattamente come si è deciso nel recente passato. Pensiamoci: chi conosceva Ghoulam e Mertens prima dell’arrivo a Napoli? Stesso dicasi per Koulibaly, se vogliamo. Oppure: vi immaginavate Hysaj, Allan e Jorginho a competere meritatamente per lo scudetto, da ex calciatori di Empoli, Udinese e Verona? Appunto. Poi, certo, ci sono Higuain, Albiol, Reina e Callejon, ovvero le rocce e le certezze assolute. Che però nascono da un’estate calda, dalla plusvalenza di Cavani e da una partecipazione Champions sicura, quella conquistata da Mazzarri nel 2013.
Quindi, le conclusioni: il Napoli può migliorare ancora. E deve farlo seguendo la strada che ha già tracciato negli ultimi anni. Certo, attraverso un percorso progettuale e finanche mentale e concettuale impervio: Mazzarri, il tentativo di internazionalizzazione di Rafa Benitez, il solo presunto passo indietro con Sarri. Il club partenopeo ha avuto la fortuna di trovare il meglio. Ora ha la necessità di confermarlo. E di corroborarlo, senza stravolgersi troppo. Niente nomi, oppure sì: Klasseen e De Roon, ad esempio. O lo stesso Icardi, capocannoniere del campionato di cui abbiamo già parlato, come sostituto di Higuain. Che poi magari arriva Ibrahimovic e finisce male, anche se è difficile pensarlo. Il Napoli deve continuare a fare il Napoli. Che finora ci è andata bene.