In questa eterna storia dei favori concessi a sua maestà Juventus – prima si chiamava sudditanza e la condanna suonava più lieve e non esplicitamente da cronaca nera calcistica, ora, molto opportunamente, si va diritto al sodo e si parla senza scorciatoie di “favori” che è ben altro concetto e puzza più di prima ma non si può non essere d’accordo perché di questo si tratta a meno che non si voglia parlare di “maledizione”.
Le due figure più rappresentative di questo psicodramma all’italiana sono, senza ombra di dubbio, Marotta e Bonucci. Beppe e Leonardo per gli amici della parocchietta, come diceva tra il serio e il faceto, il mitico Alberto Sordi. Il primo irrita per la sfrontatezza dell’eloquio che gli deriva, probabilmente, dall’immunità che ritiene di aver traguardato; il secondo è insopportabile per il modo invero arrogante (prepotente?) con cui si esprime in campo calpestando i diritti degli avversari e intimidendo gli arbitri.
Ad ogni buon conto non se ne può più, la misura è davvero colma. Ci siamo interrogati per giorni, abbiamo straziato le immagini per coglierne i significati più reconditi, ma, in tutta onestà, si è trattato di una sceneggiata e a noi questi affronti non devono essere fatti perché quel genere di rappresentazione teatrale che mischia il burlesco e il (falsamente) drammatica l’abbiamo inventata a Napoli e le imitazioni, peraltro manco ben riuscite, le riconosciamo anche a distanza di mille chilometri. Quella sicuramente non voleva essere una testata nel senso più esplicito del termine, canonica cioè, ma sicuramente si è trattato di una aggressione dalla quale Rizzoli non si è potuto difendere. Siamo in presenza, quindi, di un gesto quanto mai volgare e antisportivo e come tale andava trattato: in primis con il rosso diretto e, subito dopo, con una esemplare squalifica. Non quel turno striminzito che, considerato quello che è successo, ha il sapore di una beffa o, peggio ancora, è la degna conclusione di una vicenda che più esemplare – nel senso del brutto e del decadente – non poteva essere. In regola, comunque, con lo stile juve che, ormai, non fa più glamour come ai tempi dell’Avvocato che scendeva nello spogliatoio del Napoli per congratularsi con i calciatori del Napoli che avevano sottratto lo scettro alla sua squadra, ma mostra quello di un amministratore delegato e di un campione celebrato che di certo non bucano l’audience. Anche se sono bravissimi nelle rispettive funzioni.
Il capitolo Marotta, però, nelle ultime ore si è arricchito di una nuova puntata se possibile ancora più spudorata delle altre. Nella quale si sostiene che le proteste che si muovono agli arbitri e alla Juve non scaturiscono da torti subiti ma da invidia. Non è vero ma ci credo, dobbiamo ascoltare tutto questo in attesa della moviola in campo? No, scegliamo di reagire con il commento di Beppe Bruscolotti, la mascella di Sassano che gli attaccanti li addentava ma solo con la forza dei suoi garretti, il quale ha fatto notare all’ad che si stupiva che a otto partite della fine del campionato ogni concessione – voluta o casuale – fatta agli avversari può decidere dello scudetto. E qui non c’è bisogno di altre precisazioni, rimandiamo tutto alle considerazioni fatte in precedenza.
E allora? A pensarci bene, la diritta viene da Salvatore Bagni il quale mette in campo una proposta di grande interesse: «Torniamo ad un solo arbitro, una sola testa a pensare fa meno danni di quattro teste che vanno per conto proprio». Meditate gente, meditate, la soluzione potrebbe essere un ritorno al passato. Fa tristezza, ma il nostro calcio tanto si merita.