Siamo un popolo di allenatori di calcio? Forse sì. Ed è per questo motivo che in Italia questo sport è così popolare, perché tutti soffriamo, agitandoci sui nostri divani di casa o allo stadio, talvolta più degli allenatori della squadra che amiamo. Il nostro, Maurizio Sarri, da inizio stagione sta facendo un lavoro straordinario. Al suo primo anno alla guida di una squadra importante come il Napoli ha dimostrato di essere all’altezza, anzi, addirittura superiore a tutti i suoi colleghi, soprattutto per schemi e intensità di gioco, anche della Juventus “asso piglia tutto” degli ultimi anni. Come dimostrato nei due scontri diretti di questo campionato. Al momento solo l’altrettanto bravissimo allenatore viola di nazionalità portoghese, il galantuomo ed ex calciatore Paulo Sousa, gli ha tenuto testa.
Tuttavia, bisognerebbe spiegare a Sarri, premesso che lui non lo sappia, che non è ipotizzabile che una squadra giochi a dei ritmi così alti da lui imposti per tutto un campionato, senza ricorrere a dei ricambi, che non siano quelli dell’ultimo quarto d’ora. Gli scricchiolii, nelle ultime partite, sono stati fin troppo evidenti. Ieri sera, contro la Fiorentina, sembrava che glielo dicessero a chiare lettere proprio i suoi calciatori, non nel secondo tempo per un comprensibile debito di ossigeno, ma nel primo.
Un numero imbarazzante di passaggi sbagliati, fra l’altro in zone pericolose del campo, come quella a ridosso della nostra area di rigore, scarsa precisione, errori sicuramente figli di mancanza di lucidità, dovuti a un evidente calo fisico, che hanno fatto emergere ancora di più lo strapotere atletico dei viola nella prima frazione di gioco.
Qualcuno obietterà, con cognizione di causa, che la panchina del Napoli non è di quelle che lasciano dormire sonni tranquilli, ieri al Franchi occupata da Rafael, Gabriel, Chiriches, Maggio, Regini, Grassi, Luperto, Valdifiori, Chalobah, Mertens e Gabbiadini. Esclusi gli ultimi due, che potrebbero giocare titolari in tutte le squadre di vertice italiane e non solo, il resto dei calciatori desterebbe comunque più di qualche preoccupazione se utilizzati in partite al cardiopalmo come quelle di ieri sera.
Su Mertens e Gabbiadini, però, qualche riflessione in più andrebbe fatta. Il primo, nella sua piena maturità calcistica, compirà ventinove anni a fine campionato, il secondo più giovane di quattro con un sinistro talmente letale e di rara potenza da far ricordare quello del grande “Rombo di tuono”, il Gigi Riva del Cagliari campione d’Italia della fine degli anni sessanta capitanato dall’allenatore-filosofo Manlio Scopigno.
Ora se Gabbiadini non riesce a trovare spazio perché chiuso dall’Higuain stellare di quest’anno, con la complicità di Sarri che non lo vede al suo fianco come seconda punta, al di là del torto o della ragione è un vero peccato perché si tratta di un importante patrimonio della società; sul mancato utilizzo di Dries Mertens nelle partite che contano qualche approfondimento è quasi obbligatorio farlo. Nella partita contro la Fiorentina, l’ultima della lunga serie, il suo ritardato ingresso ha suscitato più di qualche perplessità. Con la fascia sinistra degli azzurri consegnata agli avversari, con Tello che saltava allegramente Ghoulam, con puntualità disarmante, e con Insigne dominato dal pressing e dal dinamismo dei viola, un calciatore con più “gamba”, più nervoso atleticamente, più veloce e scattante, con più profondità, avrebbe per lo meno restituito agli avversari la stessa apprensione subita dal Napoli durante quasi tutta la partita da quel lato.
Non è andata così, ma forse peggio. Ha senso inserire dei calciatori del livello di Mertens e Gabbiadini uno a tredici minuti dalla fine e l’altro a due? Che apporto avrebbero potuto dare in così poco tempo? A maggior ragione, soprattutto riguardo il primo, quando era fin troppo evidente a tutti che la Fiorentina, dopo un primo tempo speso a ritmi altissimi, con un asfissiante pressing in tutte le zone del campo, avrebbe pagato dazio nel secondo concedendo più spazi al Napoli, spesso micidiale in queste occasioni.
Non a caso Mertens, in quel quarto d’ora di gioco (compreso il recupero) che gli è stato concesso, ha dato la netta sensazione di poter incidere in modo determinante sulla partita, in fase offensiva e addirittura anche in quella difensiva, come visto in un utilissimo recupero allo scadere.
Nel calcio non vi è mai certezza, a maggior ragione con il senno di poi, ma il Napoli nel secondo tempo, se le ambizioni sono quelle di tenere testa alla Juventus fino alla fine del campionato, avrebbe dovuto e potuto osare di più, confortato dal fatto, come era ampiamente prevedibile, che la Fiorentina sarebbe inevitabilmente calata.
Perché allora, una volta tanto, non dare più spazio al talentuoso esterno belga? Se non per tutta la partita, magari per un tempo intero? C’è anche da aggiungere che su Mertens si paventano dubbi sul suo utilizzo dal primo minuto; dicono, pare che Benitez ne abbia la primogenitura, sia meno devastante. La pericolosità di questa tesi, secondo me infondata, potrebbe nascondersi nel fatto che il ragazzo ci creda per davvero, rassegnandosi a un ruolo da comprimario. Infatti, è accaduto spesso, che in quella piccola porzione di partita, che puntualmente gli viene concessa, vada in ansia da prestazione sapendo di giocarsi le sue uniche carte in quei pochi minuti, diventando talvolta egoista e quindi poco collaborativo con i suoi compagni di squadra.
Maurizio Sarri ha la fortuna di avere tre grandi esterni: Callejon, Insigne e Mertens. Una rotazione più equa, ma non solo contro squadre come il Midtjylland, non farebbe meglio al Napoli?