
Una delle vittorie più belle del campionato. Un successo che ti resta addosso perché ottenuto più con la forza della volontà che con l’estetica, come scritto ieri sera da Alfonso Fasano. Più bella perché a questo punto della stagione quel che conta è la testa, la capacità di non arrendersi e magari nel momento decisivo di estrarre il colpo del campione. Questo è avvenuto in Napoli-Genoa, una partita paragonabile ad Atalanta-Napoli altra gara svolta della stagione. Anche in quella occasione la vittoria la strappammo di prepotenza. Anche in quella occasione ci pensò Gonzalo Higuain. Fu il giorno del commovente abbraccio con Maurizio Sarri demiurgo di questo Napoli. Un allenatore che ha messo su una squadra che non smette di giocare al calcio da 27 giornate. Un allenatore che soffre le vigilie – ora lo possiamo dire, l’uscita sulla penombra è una delle più grandi boiate mai dette da quando l’uomo inventò il cavallo – ma che dopo la partita riesce a dar sfoggio di saggezza e ostentando ingenuità dichiara di non sapere nulla della partita pomeridiana della Juventus e del relativo arbitraggio. Non solo, Sarri ieri sera ha spostato l’attenzione su un tema cruciale: l’importanza della panchina. Perché la tanto bistrattata rosa del Napoli – le motivazioni sono razionalmente inspiegabili, hanno radici altrove – è stata importante ieri sera. Determinanti gli ingressi in campo di Mertens e di Gabbiadini, non proprio due brocchi. E il terzo gol è stato siglato da El Kaddouri. Il Napoli non ha undici giocatori contati e ieri sera Sarri è stato bravissimo a sottolinearlo. Questo Napoli è di tutti. E tutti serviranno nelle prossime otto giornate.
Tutti, ma soprattutto lui. La definizione di fuoriclasse data da Rino Tommasi è la seguente: “un giocatore capace di giocate straordinarie nei momenti decisivi”. E ieri Gonzalo Higuain ha dimostrato di essere un fuoriclasse. Il suo gol, il secondo ovviamente, è probabilmente – fin qui – il più importante della sua eccezionale annata. Perché è riuscito a compiere un gesto tecnico perfetto nel momento topico della stagione e della partita, a nove minuti dalla fine, in una giornata in cui un pareggio avrebbe significato l’addio ai sogni scudetto e l’inizio di una polemica arbitrale infinita. Con quel gol, Higuain ha invertito il senso della storia. Ha tenuto aperto il campionato e ha dimostrato che il Napoli ci crede eccome. È stato un gesto di una forza dirompente. Nella serata in cui per l’ennesima volta la squadra si è trovata subito sotto di un gol e stavolta ha impiegato più tempo ed energie per ribaltare la partita. Higuain, come ha evidenziato Gianni Mura, non si è mai innervosito, ha cercato il gol con ostinazione e alla fine lo ha trovato. E che gol. Da mettere in mostra al Moma.
Una partita che ha anche evidenziato alcune pecche del Napoli. Ancora una volta Reina non è stato incolpevole sul gol subito. Ha preso un gol molto simile a quello di Rigoni. Un tiro sì forte ma da venti metri, questa volta nemmeno angolato. Un Reina che a volte in campo sembra non avere la concentrazione adeguata. Anche se va ricordato che a Palermo la parata decisiva l’ha compiuta, sul tiro basso di Vazquez. Pepe non è stato l’unico a sbagliare in occasione del gol di Rincon. Jorginho ha appoggiato male all’indietro, Koulibaly ha perso il rimpallo. E nella ripresa, un liscio del difensore centrale ha spalancato la strada a Cerci che per fortuna, una volta solo davanti a Reina, ha calciato a lato. Anche i segni del destino sono importanti.
È fisiologico che qualcosa cominci a scricchiolare a questo punto della stagione. Perciò averla vinta di tenacia, di testa, è doppiamente importante. Rende l’idea di quanto il Napoli sia mentalmente dentro la corsa scudetto, quanto si senta effettivamente in grado di conquistare il “coso”. Ieri sera la squadra di Sarri, soprattutto Higuain, ha giocato con l’obiettivo della vittoria in testa. Una differenza non da poco. L’estetica è passata in secondo piano, anche se il Napoli ha comunque giocato un incontro ad altissima intensità contro un Genoa che non si è mai tirato indietro.
Ha detto bene Sarri: vincere diciannove partite su venti e avere ancora una squadra lì a tre punti ti fa girare i coglioni. Perché se sei Merckx, quando apri il turbo, dietro di te non resta nessuno. Ti volti e trovi solo l’asfalto. Stavolta, invece, il rivale non si stacca. Resta lì, a cento metri. E ti innervosisce. È lunga, Eddy, te la devi sudare.