Ditegli che è l’ultimo strillone di Napoli e lo farete felice. Peppe Sansone, il giornalaio di via Tasso e di via Manzoni, baffo folto, sguardo ammiccante e furbo, scazzetta di lana in testa anche con il solleone e camicia sbottonata fino allo stomaco anche se fuori nevica, l’antico mestiere dello strillone ce l’ha nel sangue e per continuare a farlo rispettando tradizione e modernità ha organizzato una edicola mobile al Parco Matarazzo imbottendo la “Punto” di giornali e libri. Gli abitanti dei palazzi e delle ville lo aspettano di buon mattino, con gli anni è diventato un amico che si frequenta ogni giorno e con Luciano Cimmino si scambiano doni nelle ricorrenze. «Non faccio niente di speciale, un giornalaio è al servizio del cliente»: dice così e chi lo conosce sa che non sono parole di circostanza.
Peppe Sansone è fatto a questo modo, all’apparenza è un personaggio a tinte forti, addirittura burbero, ma nella realtà è un generoso pronto a darsi da fare per accontentare tutti e seriamente preoccupato per il futuro dei colleghi che si arrendono: lui, al contrario, predica prudenza, conta solo da uno a dieci, ma non cede le armi anche ora che è accerchiato dal “nemico” digitale. «Contro il quale – sentenzia – combattiamo molto male». E per organizzare una buona difesa ha trasformato la bottega in una sorta di supermercato della cultura e dell’informazione e, insieme alla moglie Enza, continua a rispettare il comandamento trasmessogli dal padre Francesco (Ciccio ‘e via Tasso, una figura popolarissima tra i giornalai): «L’edicola moderna distribuisce cultura e deve essere un punto di incontro, un luogo dove i clienti si ritrovano e si scambiano opinioni. Qui da noi questo rito è stato sempre praticato: quando avevo poco più di dieci anni, cioè più di mezzo secolo fa, di pomeriggio dormivo sotto il bancone sui giornali destinati alla resa ma venivo svegliato dalle voci dei clienti che si trattenevano con papà fino a tarda sera discutendo di politica e degli ultimi libri che noi miracolosamente riuscivamo a procurarci. In piccolo il retrobottega del giornalaio curioso e disposto alla lettura come i suoi clienti-amici si animava come il salone del Gambrinus, lì andavano i grandi, da Croce a D’Annunzio, da Eduardo Scarpetta a De Filippo, da noi si ritrovavano clinici illustri, magistrati, giornalisti, uomini di spettacolo che per nulla al mondo avrebbero rinunciato alla pausa rilassante della scelta del libro da ordinare. Oggi è più difficile, ma ci proviamo, qualche minuto fa è andata via Antonella Cilento alla quale ho procurato una edizione speciale datata 1829 della guida di “Napoli e i suoi contorni” di Luigi Galanti e prima ancora era venuto a salutami Maurizio de Giovanni. Ogni giorno, nonostante tutto, è nu juorno buono, il profumo della carta è ancora inebriante e finché campo non me ne priverò».
La bottega di Sansone, insomma, è una istituzione. Peppe è stato tra i primi a capire che il vento della crisi, se non si hanno gli occhi bene aperti sul mondo, può travolgere le fragili strutture di una edicola che ancora espone le insegne del “Tempo” e del “Roma” e non si adegua in corsa alle mode culturali e pseudo tali. «È un mondo pazzo, ma dobbiamo saper stare al gioco». Peppe parla e gli occhi si rivolgono alle pile di libri accatastati sul bancone. Sono scaffali precarissimi, se cade un libro cadono tutti ma loro sanno dove e come mettere le mani. E i clienti ripongono totale fiducia nel giornalaio consigliere. «Qui trovano di tutto e se qualcosa non c’è, rimediamo in poche ore». Proprio come faceva papà Ciccio che iniziò a sporcarsi d’inchiostro vendendo giornali nell’intrico dei Quartieri Spagnoli su invito del futuro suocero – si chiamava Peppe come lui e gestiva una edicola – che, valutandone le attitudini, lo convinse a non commerciare più il latte di Villanova e i prodotti dell’orto di famiglia a San Martino. Da quel momento, fine anni ’50, la famiglia Sansone, padre e figlio, sono in prima linea. Contenti di esserci. Francesco ora non c’è più e Peppe lavora e si dà da fare anche per lui, con l’aiuto della moglie Enza, solare e aggiornatissima e, come il marito, consapevole della necessità di diversificare l’offerta e di aggiornare la scala delle preferenze. Il gioco, però, si è fatto duro, l’informazione su carta ha subito un attacco micidiale e non ha ancora trovato la formula giusta per organizzare una difesa. Che non sia passiva. E resta sempre più ai margini della piazza telematica affollata di voci dissonanti. Nella quale ognuno si costruisce la “sua” verità e sceglie gli interlocutori che più gli aggradono.
La storia di Peppe Sansone è la proiezione fedele e velata di nostalgia di questo profondo disagio psicologico. Lui, a differenza di tanti altri ex strilloni, non ha però alcuna voglia di passare la mano. Anzi, continua la sua personalissima battaglia contro l’invasione del web. Convinto che la carta stampata abbia ancora un ruolo importante da giocare, a patto che si rinnovi. Come fa con buona lena da cinquantaquattro anni. «Quando compii sette anni, papà non mi regalò il cavalluccio a dondolo di Pazzaglia ma una carrettella sulla quale caricavamo i quotidiani i libri e le riviste. Una bella fatica portarli in giro ma lo facevo perché avevo in testa la raccomandazione con la quale papà mi accompagnava alla porta: guagliò, torna solo quando li hai venduti tutti». E Peppe riusciva a venderli, poi tornava a bottega – in via Tasso – e si addormentava sotto il banco di vendita.
Naturalmente su una pila di giornali.