In un pezzo pubblicato sul Napolista durante il mese di dicembre, si parlava di Pepe Reina. Si raccontava del suo amore per Napoli, corrisposto dalla città. A un certo punto, però, si diceva pure: «[…]poi c’è il gesto della parata, che otto volte su dieci va bene. Perché Reina è un portiere che sbaglia, sì. Bologna qualche giorno fa, ma anche Bergamo o Udine nella sua prima esperienza napoletana. Eppure non si discute, neanche dopo gli errori. Perché tutto il resto è fatto nel modo giusto, col piglio giusto».
Ancora oggi, tutto questo è vero. Lì si parlava e si scriveva appena dopo un mistake clamoroso del portiere spagnolo, un tiro debole di Destro che praticamente è stato buttato in porta dalla sua deviazione. Oggi, più che di errori marchiani, grossi come una casa, sono le sensazioni a lasciare un po’ interdetti. Il gol di Rigoni contro il Chievo è stata la seconda incertezza di Reina in pochi giorni dopo la punizione forte, ma centrale, di Denis Suarez al Madrigal. Il tiro del centrocampista del Chievo, complice anche una scivolata, è stato solo toccato dallo spagnolo. Non è bastato per evitare il gol, e si poteva sicuramente fare meglio. In più, ci aggiungiamo anche l’uscita un po’ così sui piedi di Pellissier, sempre in Napoli-Chievo: tutto è stato vanificato dal fuorigioco fischiato all’attaccante gialloblù (una finezza dell’assistente di Di Bello), ma la copertura dello specchio di Pepe non è stata proprio eccezionale.
Chiariamoci subito: Reina è indiscutibile, l’abbiamo detto, lo ridiciamo e lo ridiremo dopo, spiegandone anche i motivi. Però, questo non lo rende completamente esente da colpe e quindi da (piccole) critiche. Accanto a queste, però, ci sono anche i dati da sottolineare. Dati che sono, in qualche modo, pure una difesa: Reina non ha saltato nemmeno un minuto di questo campionato, ed è il portiere meno impegnato di tutti. 27 parate totali in 28 partite. Meno di una ogni novanta minuti. Come dire: provateci a mantenere voi la concentrazione quando, per tutta la partita, non ti arriva più di un tiro diretto tra i pali. Buffon, per intenderci, ha collezionato 37 parate in 26 partite. Handanovic 70 in 26. La situazione del portiere spagnolo è paradossale: gestisce una fase difensiva che limita al minimo il suo compito, e, forse proprio per questo, sembra arrivare disallenato a quei pochi momenti in cui viene chiamato in causa. O almeno, ci arriva disallenato da un po’ di tempo a questa parte. Basti pensare allo splendido intervento su Miranda in Napoli-Inter del primo dicembre. E alla meritata ovazione del San Paolo a fine partita per chi, quella sera, aveva salvato il risultato.
È questione di sensazioni, dunque: se Napoli-Inter si fosse giocata al posto di Napoli-Chievo e avesse avuto lo stesso identico sviluppo, Reina avrebbe tolto dalla porta il colpo di testa del centrale brasiliano, deviandolo sul palo? Forse sì, ma è più facile dire di no. Perché i precedenti più freschi dicono che Reina, nell’ultimo periodo, è un po’ meno reattivo in quell’unica occasione in cui viene sollecitato. È successo due volte e mezza, e non facciamo nessun delitto di lesa maestà a dirlo e scriverlo. Sarebbe invece sbagliato crocifiggere lui, o solo lui, per questo momento in cui si subisce qualche gol di troppo. Basti pensare che gli altri gol che hanno fatto male, quelli di Zaza e Pina, sono roba che rientra nell’imponderabile di una deviazione o di un cross sbagliato.
Per il resto, assolutamente nulla da dire su Pepe Reina. Uno che è palesemente il leader dello spogliatoio, uno che festeggia sotto la curva e canta coi tifosi. Uno che, soprattutto, si fa sentire in campo. Con la voce, con la presenza. E con la gestione perfetta della fase difensiva e poi anche della palla, quando c’è bisogno di un aiuto nell’impostazione bassa. In quei casi, Reina c’è. E meno male. Pepe Reina c’è pure quando si tratta di fare l’ambasciatore di Napoli e del Napoli. Prendi i social, ad esempio: la goliardia dello spogliatoio nelle sue foto che documentano gli scherzi tra i compagni, ma anche dichiarazioni a caldo alla fine di ogni partita. Per invitare il pubblico a crederci ancora, per arringare la squadra e una città intorno a un sogno. Sogno che però ha bisogno di tanta concentrazione su quei pochi tiri che arrivano.