“La metro non funziona”. “Però è bella”. “Sì, ma non funziona”. “Ok, ma è bella”. E via così in loop semplificando, un dialogo mille volte abbozzato, non se ne esce. È Napoli che non ne esce: si accende e si spegne, come una lampadina difettosa. Questi sono i giorni in cui Napoli si abboffa di numeri. Il pieno di turisti la ribattezza una volta di più meta perfetta per i weekend lunghi: dopo l’Immacolata, Pasqua. Con il traffico degli stranieri attirato, anche, dalla gestione illuminata dell’aeroporto di Capodichino di Armando Brunini. Sono i giorni in cui le statistiche prendono il sopravvento, rinvigorendo quell’agio pigro della polvere sotto il tappeto quando arrivano gli ospiti. Anzi, lo riaggiorna: la polvere nemmeno la nascondiamo più, tanto gli ospiti arrivano lo stesso, li hai visti gli alberghi pieni, no? E le file fuori alle pizzerie? Sono i giorni in cui i napoletani orgogliosi di Napoli – soprattutto quelli che “difendono la città” vivendo altrove, dove la metro passa ogni tre minuti e non si rompe ogni mezz’ora – richiamano il popolo al pride, ne pungolano l’autostima. Come Luca D’Emilio, che pur nel condivisibile messaggio di sprone, finisce per contorcersi in uno strano ritornello: “Napoli è meravigliosa. Essere napoletani è meraviglioso. Non abbiamo bisogno di ripetercelo in continuazione”, e così facendo, però, ce lo ripetiamo ancora, e ancora, e ancora. Abbiamo capito!
Essere napoletani è meraviglioso, ma poi la vita di tutti i giorni è una roba un po’ più complicata di così. Quelli che sfottono i cliché della pizza e del mandolino, spesso nell’operazione di restauro della cartolina si lasciano dietro pixel importanti. I colori scuri della città affascinante e disfunzionale. Si badi bene: basta appuntarsi le cose spicciole, non c’è bisogno di chiamare in causa la criminalità. Perché pure questo è successo: la sovraesposizione del male ha infine disarmato IL problema derubricandolo a peloso luogo comune, e portandolo così fuori dal dibattito come “troppo facile”.
Le piccole cose, allora. A Pasquetta i turisti di cui ora ci facciamo belli hanno trovato chiusi i parchi più importanti: il bosco di Capodimonte, il Virgiliano, la Reggia di Caserta. Chiusi per evitare che la gente finisse per rovinarli con i picnic tradizionali. Chiusi, volendo dozzinalmente elaborare il concetto, perché i napoletani si conoscono fin troppo bene , altro che autostima. In quale altra “città moderna” d’Europa i parchi pubblici chiudono nei giorni di massima affluenza? Il turista che trova i cancelli sbarrati non lo sa, il perché. E non sa nemmeno che i suddetti parchi pubblici, anche quelli di quartiere, quelli minuscoli con una altalena e uno scivolo malridotto, chiudono alle cinque del pomeriggio fino a marzo, e chiudono quando c’è vento per paura che possano cadere i rami mal-potati dei rari alberi sopravvissuti all’incuria. E chiudono e basta, anche, perché semplicemente non ci sono i soldi per tagliare le erbacce (la Floridiana sia d’esempio: il parco dimezzato). Pura ammissione di colpa, mani alzate, bandiera bianca.
Proprio chi vive in altre città dovrebbe notare – e far notare – le differenze, quali e quante. Perché non tutte le “differenze” sono un patrimonio, c’è anche un livello sociale di civiltà che andrebbe garantito, e rivendicato. Altrimenti finisce che la forza dell’abitudine, la rassegnazione, persino l’ottimismo patologico, ci incarogniscano nell’orgoglio coatto, al farci belli purchessia. Siamo belli, ok. Siamo satolli di eccellenze e meraviglie, e chi lo nega? Se c’è una cosa che proprio non ci manca, nel riconoscimento generale, è la bellezza. Ma non basta, non dovrebbe. Non possiamo essere vittime della nostra bellezza. La linea 1 della metro – ovvero la “perla” (con le funicolari) del sistema di trasporti cittadino – passa mediamente ogni 12 minuti, con almeno tre vagoni mancanti, quando non si rompe o non piove (perché se piove si allagano le stazioni e stop). Tradotto: funziona male. Se la risposta è: “Sì, ma è la metro più bella del mondo”, allora non c’è scampo. Questa non è mancanza di autostima. È logorante e cieca pienezza di sé.