Oggi ho seguito via radio la conferenza stampa di Maurizio Sarri, e vorrei parlarne partendo dalla fine. Dopo uno stacco pubblicitario, l’inviato a Castel Volturno ha riferito di un Sarri turbato dal fatto che non gli fossero state rivolte domande dirette su Napoli-Chievo e in particolare sulla squadra di Maran. Napoli-Chievo è la partita che si giocherà domani sera allo Stadio San Paolo.
La partita che si giocherà domani sera allo Stadio San Paolo. Lo riscriviamo e lo boldiamo, in modo da ricordarlo bene anche noi.
Chi scrive ha sempre avuto un’altissima opinione della gestione mediatica dell’ultimo allenatore del Napoli a.S., avanti Sarri. Non scrivo Rafa Benitez altrimenti potrei riaccendere querelle che in realtà non si sono mai spente, che sono ancora tizzoni incandescenti sotto la cenere. Soprattutto per chi legge questo sito. Dicevamo dell’altissima opinione: con il nostro ex tecnico, fare conferenza stampa significava soprattutto parlare di calcio. Di movimenti, moduli, schemi, anche degli errori tattici commessi nella partita precedente. In realtà, penso che l’invito a stare uniti, il famoso #spallaaspalla, fosse più che altro un appello rivolto a tutti – a noi sistema mediatico e a noi tifosi – per sostenere la squadra in modo costruttivo. Magari pure per criticarla, perché no. Parlando sempre e comunque del campo e del gioco, però.
Quando oggi mi sono ritrovato a sentir parlare il nostro allenatore, ho vissuto l’evoluzione di quel sentimento di vicinanza, stima, adesione che provavo per Benitez. Sarri è stato fantastico, letteralmente. E non mi riferisco solo ai dati tecnico-fisici, numeri bellissimi e meravigliosi letti da un foglio stampato, un «file excel personale», e snocciolati all’inizio della conferenza per rispondere a una domanda sull’appannamento della squadra. Chi conosce il Napolista, sa che mi occupo di analizzare i numeri delle partite del Napoli, e quindi non posso nascondere la bramosia per quel foglio di calcolo Excel che è come il vaso di Pandora. In realtà, mi riferisco a tutto quello che c’è stato ed è stato detto dopo, al modo di vedere e vivere il calcio. E di scriverlo, raccontarlo, commentarlo.
Parole così: «Dà fastidio quando la gente parla solo in relazione al risultato. Se a Torino finisce 0-0, il commento sarebbe stato completamente diverso. Tutto cambia per un tiro deviato, ma fa parte del gioco. C’è chi deve vendere i giornali, deve fare audience. Il lavoro del commentatore è il più bello del mondo: se sparo una cazzata, tre giorni dopo nessuno se lo ricorda. Se lo faccio io, vado a casa».
E poi, pure: «Io penso che la Juventus sia questa per caratteristiche. È una squadra bella, tosta, con determinate qualità e quindi è chiaro che vadano a fare risultato. Mi fa piacere che la stessa Lega veda Fiorentina-Napoli e poi dica che è la gara più bella dell’anno. Spero che una squadra coraggiosa vinca, prima o poi. Io a Firenze mi sono divertito, vuol dire che la partita mi ha dato qualcosa a livello emotivo. Ci vorrebbe un po’ d’apertura mentale da parte di tutti, ci vorrebbe che tutti pensassero a trainare la passione collettiva più che pensare solo a prendere un milione in più».
Questo è un manifesto. Sono parole che vanno copincollate, impresse su carta e poi distribuite in giro come i volantini dei telefonini a poco prezzo. E il bello è che sono pro tutti e contro nessuno. Non c’è un attacco diretto alla stampa, non c’è una visione o una definizione negativa dei colleghi. Per Sarri, esistono cose «che fanno parte del gioco». Lo sa lui, lo so pure io. Lungi da lui, e quindi da me che mi accodo, sparare dall’interno su un sistema che è uguale dovunque, che vive di notizie e quindi di audience. Si parla tanto di stampa italiana e napoletana che si attacca ai casi della moviola o della vita privata dei calciatori, ma i tabloid inglesi o i giornali spagnoli non mi pare vadano molto oltre.
Sarri fa proprio questo: ci ha invitati e ci invita ad andare oltre. Guardando al campo, al modo in cui si occupa e in cui si corre. Non solo ai due numeri di un risultato finale. La frase «i dati che possono avere origine da Napoli-Milan devono essere per forza diversi da quelli della partita di Firenze perché parliamo di due match completamente differenti. Uno si è giocato su 40 metri di campo, un altro su 100» è una vera poesia moderna. È “I Have a Dream” versione allenatore 2016. E in qualche modo riscatta pure il “cazzo” o il “coglione” detto poco prima o poco dopo, che a qualche uomo-simulacro potrà apparire anche fuori posto, ma che è nient’altro che la banalità della parolaccia in mezzo a tante cose che non possono essere banali.
L’idea sui media come quella sul calcio: la Juventus gioca così perché è così che deve giocare. Avesse detto «è parte del gioco» anche in quel caso, avrebbe espresso lo stesso concetto risparmiandosi di cercare nuove parole. L’apertura mentale del calcio è anteporre la prestazione al punteggio segnato dal tabellone, la passione collettiva allo stipendio di un milione in più (questa, forse, è una forzatura. Ma concediamogliela). È il risultato che non è più fondamentale. È una componente, una delle più importanti. Ma non è mai certezza assoluta, né tantomeno una discriminante totale. Perché ci sono cose più importanti. Lo stato di salute oggettivo della squadra e i numeri che lo descrivono, ad esempio. E poi il Chievo, che gioca a calcio come il Napoli e che domani affronterà il Napoli. Di questo si deve parlare. Di chi gioca a pallone, di come lo fa. Perché un tiro deviato resta un tiro deviato, così come cinque partite senza vittoria sono cinque partite senza vittoria. Sarri lo sa, «fa parte del gioco». Ma non è tutto, non deve esserlo perché non è giusto.
Sarri, lo posso dire nella mia lingua, m’ha fatto arricreare. Anche perché ha detto una cosa bellissima perché vera, e viceversa. Questo, quello del commentatore sportivo, è davvero il mestiere più bello del mondo. Soprattutto quando ti ritrovi costretto, per lavoro, a sentire cose così.