Maurizio Sarri, che il dio del calcio l’abbia in gloria, non finirà mai di stupire chi, come noi, ha appena imparato a conoscerlo. Per le sue doti di maestro di calcio, che già erano note ma stentavano ad emergere e a “uscire” dal perimetro provinciale, ma anche per la lucida essenzialità e pacatezza dei commenti e la capacità di farsi scivolare addosso anche le situazioni più scabrose. Che è emersa anche ieri sera quando ha liquidato i cronisti che tentavano di estorcergli una dichiarazione antiJuve con un commento che può riassumersi con un liquidatorio – ma per noi poco credibile perché sappiamo che la quota di sangue napoletano che ha nelle vene lo porta a vivere con passionalità gli eventi che lo riguardano (vedi scontro con Mancini) – «nun me ne può fregare di meno».
Le parole, però, pesano come pietre e lui le ha scagliate sui cronisti per tagliare corto su un argomento che non porta da nessuna parte e, per giunta, può turbare la serenità e la concentrazione dei giocatori impegnati in una impresa davvero “eroica”, nel senso che ha superato ogni ragionevole limite. Un po’ come fece Ottavio Bianchi creando le premesse per la conquista del primo scudetto che sembrava impresa irraggiungibile alla latitudine calcistica napoletana eccessivamente emotiva e incapace di portare a termine progetti a medio-lunga scadenza. Ci accontentavamo dei lampi di Vinicio, di Jeppson, di Sivori e di Altafini, senza mai inquadrare l’obiettivo più alto. Il maestro di Figline, invece, è riuscito a “fare calcio” spettacolare e redditizio alla guida di un team con un budget modesto e non ha modificato il suo stile, e perfino il look, anche quando, alla buonora, ha fatto il grande salto. Non a caso, continua a indossare la tuta e non il cappotto blu elegante di Max Allegri: si comporta e veste, cioè, senza lasciarsi fuorviare o, peggio, impantanare da polemiche sterili che non portano da nessuna parte anche se riguardano decisioni che si prestano a interpretazioni anche molto maliziose come quelle prese, con la palma in una mano e il fischietto nell’altra, dal direttore di gara più accreditato d’Italia e del mondo.
Nessuno potrà mai dimostrare, a meno che non sia in possesso di un occhio elettronico privato, che le sviste di Rizzoli e dei colleghi che con lui hanno diretto il derby torinese abbiano influito sulla diciannovesima vittoria della Juventus su venti gare – un record strabiliante che difficilmente potrà essere uguagliato, come i ventinove gol di Higuain in trenta partite – ma certo hanno pesato, e come, sulla valutazione complessiva della gara. E, quindi, potrebbero anche aver in qualche modo contribuito a orientare in senso tutto bianconero un risultato che, invece, sul 2-2 e con l’espulsione di Alex Sandro avrebbe potuto avere un epilogo forse diverso. Anche perché in quel caso la Juve avrebbe sentito di più la pressione di vincere a tutti i costi per non farsi raggiungere dal Napoli probabile vincitore nel match con il Genoa.
È andata com’è andata, insomma, e Sarri non correrà mai il rischio di perdersi in battaglie perdenti anche se, come crediamo, in cuor suo sarà d’accordo con i tifosi napoletani e con i commentatori al di sopra di ogni sospetto come Paolo Condò il quale ha detto la sua sull’argomento dopo aver ascoltato le proteste di Giampaolo Ventura: «Non replico alle cose che hai detto perché sono del tutto d’accordo con te». Poche ma sentite parole che facciamo nostre. In attesa di tempi migliori e del giorno in cui, con la moviola in campo, vivremo un altro calcio: più spezzettato, certo, ma al di sopra di ogni sospetto.