Ogni volta che si gioca Udinese-Napoli è na mazzata ‘nfronte. «Non c’è partita più difficile di questa», si sente dire in giro. In realtà, chi scrive lo dice di ogni trasferta e pure di ogni gara in casa, ma tant’è. A Udine è un po’ più vero, però. Perché basta aprire il libro dei precedenti e sfogliare le pagine recenti. La sconfitta dello scorso anno, il pareggio di due anni fa con l’erroraccio in fase di rilancio di Reina. E poi, andando più indietro, uno 0-0 e un 2-2 con Mazzarri, che proprio a Udine, due anni prima ancora, perse la sua imbattibilità azzurra dopo quindici partite consecutive. Il pareggio del 2013 ci portò a sei punti dalla Juventus, partivamo da -4. Brutti ricordi, soprattutto ora.
Udinese-Napoli, però, è anche una bellissima prima volta. 2 settembre 2007, l’ultima vittoria azzurra in Friuli. Ricordarla oggi, nonostante siano passati otto anni e passa, è facilissimo. Perché ci sono delle immagini che non si possono dimenticare. Zalayeta, Domizzi, Sosa. E ovviamente Lavezzi, che in quella partita, dopo la prima notte di nozze bella ed effimera del San Paolo (tripletta in Coppa Italia al Pisa), ricordò a tutti cosa potesse voler dire un grande giocatore sudamericano al Napoli. Ma grande davvero, però. In Serie A, contro le squadre grandi e meno grandi, che però facevano l’andirivieni tra l’Europa e la metà classifica. Un po’ come quella Udinese, che due stagioni prima aveva addirittura giocato la Champions League.
E un po’ come tutti sognavano potesse diventare il Napoli. O meglio, tutti no. Noi, quelli giovani o giovanissimi che avevano vissuto gli anni più bui della storia del club. La generazione del fallimento. Detta così sembra una di quelle diciture tristi, da indagine sociologica su usi e costumi, sul lavoro che manca o che si fa fatica ad andare a cercare. Rimanendo nei confini strettamente calcistici, i nati degli anni Ottanta/Novanta la vivevano così, quella promozione in Serie A. Con entusiasmo. Non avevano potuto conoscere Maradona, si erano dovuti e potuti accontentare di Bellucci e Schwoch. Poi di Jankulovski, al massimo. Napoli perdente, Napoli in serie B. E poi Napoli fallito, addirittura in terza serie.
Poi venne la risalita. Veloce, bella, inspiegabile come tutte le cose veloci e belle. Prova tu a descrivere un giro sulle montagne russe dopo una fila di due ore e mezza che guardi gli altri mentre si divertono. Udinese-Napoli fu l’ultima discesa. Fu la certezza che col Napoli si poteva sognare. Una certezza ritrovata per quelli più grandi, che forse riescono a essere più critici solo perché la loro età gli ha consentito di vedere Maradona e gli scudetti. Noi, la generazione del fallimento, quella certezza la conoscemmo quel giorno. Al primo gol di Zalayeta, che non fa altro che toccare dentro un pallone costruito da Lavezzi. Al terzo gol, sempre del Pocho. Dribbling secco col destro, tiro di sinistro. Ecco cosa può essere il Napoli, ve lo spiega questo ragazzo venuto dall’Argentina, che la Fermana scartò adolescente e che il Genoa prese per la Serie A e poi non potè trattenere. Arrivò a Napoli, da illustre sconosciuto e fece una di quelle partite che noi ragazzini di allora, non avevamo visto mai. O, al massimo, le avevamo viste in casa dell’Alzano Virescit.
Forse fu ancora più bello scoprire il Napoli così, per caso. Sette giorni prima, la squadra di Reja aveva toppato all’esordio in casa col Cagliari. Zero a due in una giornata equatoriale. Lo stadio San Paolo applaudì comunque, si preparava a una prima stagione in A sicuramente difficile. Forse non da zona-salvezza, ma quasi. Poi venne Udine e ci rendemmo conto, tutti, che forse ci poteva essere qualcosa di meglio. Forse sognare col Napoli era di nuovo possibile. Il primo successo del Napoli di De Laurentiis in Serie A, l’ultima vittoria azzurra a Udine, 2 settembre 2007. Chissà che non si possa sognare qualcosa di più proprio da lì. Del resto, la generazione del fallimento cose così non le ha viste mai.
Dopo quella partita, ci fu un’altra prima volta. De Laurentiis litiga con Sky, definendo “soloni” coloro che avevano osato dare un voto di 5.5 al mercato azzurro. Proprio per l’acquisto di Lavezzi. Fu un gran giorno, quello.