C’era una volta Marek Hamsik, quello decisivo nelle partite che contano. Un rapido excursus mentale, senza almanacchi: i due gol nella vittoria di Torino contro la Juventus nel 2009, i gol in Champions contro il Villarreal e in finale di Coppa Italia, sempre avversari i bianconeri. Reti realizzate a parte, anche le prestazioni erano sempre positive nei momenti importanti. Hamsik non è mai stato un calciatore continuo, ha sempre alternato prestazioni e momenti di grande brillantezza a prove anonime, sempre sul “Vorrei ma non posso”. Fino a un certo punto, i big match facevano parte della prima categoria. Poi, qualcosa è cambiato.
Il momento Sliding Doors è identificabile nel momento dell’evoluzione di Hamsik “calciatore e basta” a uomo-simbolo del club. Icona, bandiera, chiamatelo come volete. Il tutto, ufficializzato anche dal ruolo istituzionale e istituzionalizzato di capitano. Prima in pectore con Cannavaro in panchina e poi definitivo. La fascia è sua dal gennaio 2014, con Paolone ceduto al Sassuolo e una fascia da apporre su un braccio. Quello di Marek Hamsik sembra(va) quello più meritevole.
Da lì in poi, Hamsik è “cambiato”. È in qualche modo regredito nei match che contano, e non tanto per un calo di rendimento tanto vistoso e visibile, quanto per una sorta di nascondino rispetto a quelle che sono le sue responsabilità tecniche all’interno della squadra. Hamsik è fondamentale in e per questo Napoli, e se volessimo andare a rileggere tutte le nostre analisi tattiche da inizio anno scopriremmo che le prestazioni del capitano e della squadra sono direttamente proporzionali: quando Marek si esalta, si esalta il Napoli. Un Hamsik fuori dal gioco azzoppa tutto il dispositivo di Sarri. E questo è un merito, ma diventa una zavorra quando il gioco si fa duro e Hamsik tende a eclissarsi.
In realtà, abbiamo voluto fare un po’ gli evocativi individuando il passaggio del testimone (fascia) come momento Sliding Doors. È una provocazione, ma fino a un certo punto. Perché c’è stata anche un’evoluzione tattica, andata di pari passo col tempo che passa, per Marek Hamsik: da mezz’ala sbarazzina dalla grande qualità in inserimento, Hamsik ha dovuto reinventarsi centrocampista completo, di “presenza” in campo e non solo nei momenti di ripartenza o in cui i suoi perfetti tempi in zona gol trovavano terreno fertile. Hamsik ha dovuto piano piano caricarsi di nuovi compiti, anche difensivi e di costruzione, che sono ampiamente alla portata del suo bagaglio tecnico. Che però, a volte, finiscono per limitarne il contributo. Per adombrarne umore e rendimento. Diciamocelo francamente: Hamsik è un calciatore bravissimo ma incostante, nelle sue giornate no soffre le grandi e varie responsabilità tattiche che il Napoli gli affida. E non sa prendere la squadra per mano. Queste partite negative, ed ecco il vero problema, coincidono più o meno con le grandi partite del Napoli.
E non è solo una questione di gol segnati o non segnati (comunque zero nelle ultime tre stagioni nei match contro Juventus e Roma, le “vere” contender in classifica degli azzurri), quanto di rendimento reale e visibile nei 90 minuti che sono più importanti degli altri. In questa stagione, all’Olimpico e allo Stadium, abbiamo visto il peggior Hamsik dell’anno. E il Napoli ha perso entrambe le partite, pur non meritando del tutto la sconfitta. Non è un caso, non può esserlo. Così come non può essere un caso che, prima di ogni partita, il Napoli si raduni in cerchio e il discorso venga fatto da Reina. Non dal capitano Hamsik.
Vogliamo essere pruriginosi, sgradevoli, pure brutti a essere letti. Dove sono le proteste di Hamsik contro il direttore di gara? Dove sono i falli tattici, quelli che a volte si fanno quando c’è bisogno? Hamsik, bravissimo, ha zero ammonizioni nel suo carnet stagionale. Se però alzasse la voce, qualche volta, e avvicinasse pure lui la testa a quella di qualche arbitro, nessuno la prenderebbe a male. Pure in caso di cartellino. Perché a volte è anche questo che serve per caricare emotivamente sé stessi e la squadra, figurarsi quando sei capitano. Hamsik è un calciatore esemplare, corretto, mai oltre le righe. Ma è un capitano e deve essere anche un condottiero. Non deve farsi schiacciare dal suo peso tecnico-tattico e da una fascia che gli appesantisce il braccio. È il calciatore più determinante della squadra, anche più di Higuain: perché se Hamsik gioca bene, il Napoli arriva in porta e forse può segnare. Con Higuain, c’è più possibilità. Con un Hamsik addormentato e dormiente, sul campo e nella garra, il Napoli non ci arriva nemmeno a tirare. Oppure arriva secondo su un pallone a centro area che Rudiger ti mette in angolo. E allora finisce che perdi. E che ti mettano in discussione, anche quando sei Marek Hamsik e non te lo meriteresti assolutamente.