L’articolo del Daily Mail sui peggiori loghi del calcio mondiale ha in qualche modo animato il dibattito sullo stemma del Napoli, adottato nel 2006 dopo il fallimento e mai più opera di restyling. Al Napolista abbiamo pensato di ampliare le informazioni forniteci dall’articolo, e le proposte di chi ha commentato e condiviso il nostro pezzo di commento, con l’aiuto di qualcuno che svolge il suo lavoro all’interno di questo campo. A differenza dei signori del Daily Mail.
Abbiamo quindi intervistato Michele Galluzzo, graphic designer e storico della grafica italiana. All’inizio della nostra chiacchierata telefonica, è subito chiaro e diretto: «I giudizi dell’articolo pubblicato sul Daily Mail mi sembrano più che sommari. Il pezzo cerca di far passare come oggettivo quello che è semplicemente un punto di vista del giornalista. Il fatto che questa “classifica” sia stata pubblicata su un giornale non di settore non fa altro che diminuire un’attendibilità che anche su un giornale che si occupa di questo, risulterebbe comunque bassa. L’araldica calcistica è un terreno molto scivoloso».
Quindi, come giudichi il contenuto dell’articolo?
Quello che scrive il Daily Mail non è oggettivo e non potrà mai esserlo, quindi mi spingerei oltre. Più che alla bellezza o bruttezza del logo del Napoli, io guarderei alla cosa più importante e al tempo stesso divertente: i commenti sotto il vostro, di pezzo (Michele ha avuto modo di visionare il nostro pezzo e quindi anche i commenti, ndr). C’è una comunità che si riconosce e si identifica in una N cerchiata. E questa è una grandissima cosa. C’è interesse, partecipazione. Ed è questo quello che conta, anche perché i simboli possono variare nel tempo. La stessa storia del logo del Napoli ci dice che le tradizioni sono fatte per essere rispettate, ma possono anche essere violate: la società azzurra, storicamente, è rappresentata da un cavallo rampante che poggia su un pallone da calcio. Poi questo cavallo è diventato un ciuccio, che è un simbolo riconoscibile e a cui tutti associano il Napoli. Ebbene, non parte tutto da un cambiamento? Quindi, come dire: questi discorsi sono banali, lasciano il tempo che trovano. Il bello sta nel rapporto identitario tra una collettività e i suoi simboli. Dire se un logo è bello o è brutto, vuol dire analizzarlo dal punto di vista strettamente progettuale e grafico e da quello del successo presso le persone che rappresenta.
E quindi, dal punto di vista di un progettista grafico: com’è lo stemma del Napoli?
Io credo che sia rappresentativo innanzitutto per una questione storica, perché è il risultato di un percorso che inizia negli anni Venti (la prima N stilizzata in un cerchio è del 1928) e poi giunge fino a noi con varie modifiche. Il fatto che ci sia solamente una N lo rende ambiguo, in quanto potrebbe riferirsi a qualsiasi cosa inizi con questa lettera, però ormai il rapporto del club con questo simbolo è emblematico. Dal punto di vista ancora e più strettamente tecnico, posso dire che con i colori siamo perfettamente in linea con la storia e con la tavolozza cromatica del golfo. Una considerazione personale riguarda il font (il tipo di carattere, ndr) utilizzato per la N: secondo me, non è immediatamente riconducibile alla città. Una introduzione abbastanza recente è quella dell’ombreggiatura tridimensionale, che è appena percettibile ma che è un po’ figlia degli anni Duemila. Il logo è del 2006, e rappresenta in tutto e per tutto il periodo in cui tutti i brand tendevano a rendere tridimensionale i loro simboli.
Come interpreti, alla luce di tutto questo, quella che possiamo definire come “la critica alla critica” del Daily Mail?
Guarda, ti ripeto. I giudizi estetici restano appunto giudizi, soprattutto in un campo come quello legato a una passione popolare come il calcio. Tutto è mutevole, tutto può cambiare e restare uguale. E quindi, tutto è criticabile. Considera che, ad esempio, lo studio milanese che si è occupato del restyling del logo dell’Inter ha deciso di lavorare esclusivamente per pulire il simbolo originario. Per cambiare senza cambiare niente, semplicemente per armonizzare il tutto. Lo stesso studio si è occupato del simbolo del museo Madre a Napoli, ed è stato criticato per gli stessi motivi per cui il Daily Mail ha definito brutto il logo del club partenopeo. Per farti capire come ogni cosa sia suscettibile di cambiamenti e ogni giudizio possa essere opinabile, rimando tutti a recuperare un articolo vecchio di quasi novant’anni, pubblicato dal Guerin Sportivo del 1928 e scritto da Carlin Bergoglio. Si intitolava L’Araldica dei Calci.
Bergoglio era un umorista, giornalista e disegnatore, e si divertì a immaginare quelle che secondo lui erano le mascotte dei più importanti club di calcio italiani dell’epoca. Il Milan è rappresentato da un diavolo, la Juventus da una zebra. L’Atalanta dalla Dea e l’Inter da un serpente. Tutta roba che è giunta fino a noi. Ma non è così, almeno non sempre: la Lazio è infatti rappresentata da un bufalo e la Fiorentina da una cavalletta. Disegni ed emblemi che non si sono mai più visti, semplicemente perché non hanno avuto successo.
E il Napoli?
Il Napoli, appunto. È rappresentato da una specie di folletto o giullare che suona uno strumento a percussione tipico del Meridione. Ora non mi viene il nome, però.
Lo strumento in questione è il triccheballacche. Ed effettivamente non si è mai più visto. Per fortuna.