Per Mario Varrica, nato quarantadue anni fa a Napoli, in via Stella 120, nello storico palazzo di Sannicandro, tra piazza Cavour e Santa Teresa, galeotta fu una vacanza in Messico: è lì che ha conosciuto Eva, sua moglie, per la quale si è trasferito, dodici anni fa, a La Paz, in Bassa California del Sud, Messico. Oggi insegna italiano e altre materie umanistiche, all’Universidad Mundial.
«La Paz è un posto tranquillo, un luogo sicuro dove la gente si conosce quasi tutta. Ci vivono 250mila persone. È una stretta lingua di terra, anzi, di deserto, tra l’Oceano Pacifico e il mar di Cortes». Una città, racconta, dove l’attrazione più grande è la natura, con il suo mare spettacolare e i colori tipici delle spiagge tropicali: «Da dicembre a marzo, approfittando delle acque calde, le balene arrivano sulla nostra costa, provenienti dall’Alaska. Nuotano per 8mila km per venire qui a partorire. Se fitti una barca in quel periodo puoi arrivare persino a toccarle. E poi c’è “el tiburn ballena”, lo squalo balena, il pesce più grande del mondo, lungo 15 metri, senza denti, che si nutre di plancton: puoi addirittura nuotare con lui, avvicinandoti». Ci parla della rotta delle missioni (“ruta de las misiones”), che da nord a sud del paese raccoglie i centri religiosi che i missionari venuti in Messico al seguito dei conquistadores spagnoli fondarono per evangelizzare queste terre. E di Todos Santos, un piccolo paesino a pochi km da La Paz, famoso per l’Hotel California: «La leggenda dice che fu questo hotel a ispirare la mitica canzone degli Eagles. Anche se loro lo hanno sempre negato, il mito resiste ancora». Una città molto diversa da Napoli, La Paz, ma in cui Mario ha trovato un piccolo angolo che gli ricorda casa: «Il lungomare Malecon. Al tramonto lo spettacolo è fantastico. Puoi comprare un gelato artigianale e goderti il sole che muore nell’acqua».
Mario respira aria di casa anche grazie a due italiani conosciuti sul posto: Alessandro, di San Giorgio a Cremano e Francesco, di Ischia: «Di solito, una delle cose che fanno gli italiani arrivando in Messico è cercare di prendere contatti con gli altri membri della comunità italiana che vivono nella stessa città. Appena seppi che era arrivato un altro napoletano a La Paz (Alessandro), mi misi in contatto con lui e poi è stato semplice diventare amici. Francesco invece già viveva qui quando arrivai e me lo presentarono. Entrambi cucinano molto bene. Alessandro lavora in un ristorante è arrivato qui da circa 4 anni. Francesco invece vive di rendita: lo incontri sempre passeggiando sul lungomare. Beato lui!».
Ci racconta che i messicani amano molto gli italiani: «Amano il calore e il rumore della nostra gente, la capacità di affrontare la vita ogni giorno come viene. Napoli e il Messico condividono molte cose: mia moglie mi dice sempre che se fossi nato in un’altra città d’Italia forse non saremo andati così d’accordo».
A Napoli Mario torna pochissimo. L’ultima volta è stata quattro anni fa: «È una vergogna tornare così poco, lo so, anche perché a Napoli ho i miei genitori e mio fratello Dario (anche lui sposato con una messicana). Mia mamma mi rimprovera sempre quando parliamo su Skype, una volta a settimana. Ogni volta che ritorno a casa mi riprometto che non passerà più tanto tempo ma poi la vita di ogni giorno ti assorbe, spesso non coincidono i permessi del lavoro, i biglietti per due persone costano abbastanza, insomma varie cose. Anche se credo che sia tutto risolvibile con un po’ di buona volontà in più…».
Di Napoli, oltre alla famiglia, gli mancano tante cose. «Anche se è vero che la lontananza spesso è traditrice, perché spinge ad idealizzare il posto che abbiamo lasciato e ci fa dimenticare gli aspetti negativi. È vero anche il contrario, però, ossia che la lontananza ti aiuta magari a vedere meglio alcune cose che da vicino forse non riuscivi ad apprezzare completamente».
Trova similitudini tra napoletani e messicani anche nel modo di tifare: «I tifosi messicani ammirano molto quelli italiani, sono simili a loro. Si può dire che i messicani sono gli italiani (ed in particolare i meridionali) d’America e che gli italiani (meridionali) sono i messicani d’Europa. I messicani sono molto aperti, gioviali, amanti della convivenza, dell’amicizia. Condividiamo molti valori e punti di vista». Ci racconta che a La Paz non esiste una squadra che giochi nelle prime categorie nazionali e che la città che in Messico ha più squadre è Città del Messico, anche se Guadalajara e Monterrey hanno squadre molto seguite. «La partita più attesa della stagione calcistica messicana è America (Città del Messico) contro Las Chivas (Guadalajara) – racconta – Ma anche i derby di città del Messico, come America-Cruz Azul sono molto seguiti. Le squadre più famose sono: America, Chivas, Monterrey, Pumas, Cruz Azul, Toluca. Il campionato messicano, come altri campionati latinoamericani, utilizza un format diverso da quello dei campionati europei: non hanno un unico torneo lungo diviso in un girone di andata ed uno di ritorno ma ogni anno giocano due tornei. Li chiamano “de abertura” (di apertura) e “de clausura” (di chiusura). Onestamente, il calcio messicano non mi attrae molto, ma devo riconosce che ci sono molti talenti che spesso non riescono a fare carriera in Europa perché rispetto ad altri (argentini, brasiliani, colombiani) costano molto di più».
La Paz e Napoli sono separate da 8 ore di fuso orario. Mario stanotte non ha praticamente dormito. Ha guardato la partita sul divano, con la sua cagnolina Pimpina, anche lei tifosa del Napoli: «Sono ansioso, vivo le partite molto intensamente. Non mi rilasso fino a vedere almeno un vantaggio di 3 gol», sorride.
Oggi a La Paz è un giorno come un altro: «Non si festeggia illusiòn 25 aprile», dice Mario. La partita ormai è finita, per noi malissimo, e lui è già pronto per andare a lavorare. «Mi permetti di salutare tutti i miei amici messicani qui a La Paz che tifano o simpatizzano per il Napoli? Daniel Ruiz, mio cognato Juanito e mia nipote Floreli. E poi i grandi amici tifosi che sono a Napoli: Fernando Iervolino, Mario Acerra, Bruno Cacciapuoti, Roberto Parrilli,, Giuseppe de Iesu e Carlo Pontorieri. Li ricordo sempre con affetto».