– Come è finito così?
– È una storia lunga.
– Ammetterà che è una risposta già sentita.
– Può essere.
– Se le va di raccontarla, visto che son qua, l’ascolterei.
– Ero un uomo ricco, avevo supermercati, palazzi, imprese, e anche delle squadre di calcio.
– Fin qui niente di straordinario.
– Io ero diverso.
– Per questo è finito qua?
– Sì.
– Che ha fatto?
– Tante cose.
– Beh, dicevo oltre ai reati.
– Avevo un vizio che mi ha distrutto.
– Tipico di chi ha tanti soldi. Donne?
– No.
– Droga?
– No.
– Gioco?
– No.
– Allora era una cosa singolare.
– Sì.
– Tipo?
– Licenziavo allenatori.
– Come?
– Li mandavo via.
– No, dicevo, c’era un criterio?
– No.
– E come funzionava?
– Che a un certo punto bastava un niente e li mandavo via.
– Capisco.
– No, non può capire, giornalisti, psicologi e prima amici: non han capito.
– Allora era una mania, non un vizio.
– L’hanno detto.
– Provava piacere?
– Sì.
– E c’era una morale?
– No.
– Ma il calcio le piaceva?
– A me sì.
– E a chi non piaceva? –
– A Dio.
– E che c’entra Dio?
– Se gli fosse piaciuto non sarei qua.
– Ah, è un regolamento di conti?
– Sì.
– Se la mette così.
– Non la metto, è andata così.
– È la sua risposta?
– Sì. A Dio non piace il calcio.
– Se lo dice lei.
– Non lo dico io è nei fatti. Ma c’è dell’altro.
– Tipo?
– Li richiamavo.
– Gli allenatori?
– Sì.
– E perché?
– Mi pentivo, capivo che meritavano un’altra occasione.
– E poi?
– Li mandavo via.
– E quanto è durato questo andirivieni del cazzo?
– Anni.
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