Il giorno di Napoli-Atalanta, crocevia per blindare il secondo posto, è diventato all’improvviso “il giorno del rinnovo di Sarri”. O meglio, di un comunicato ufficiale che rompe ancora una volta il silenzio stampa e fa in modo che la società prenda finalmente una posizione ufficiale su tutte le voci intorno al suo allenatore. Voci incontrollate e tipiche di un sistema mediale, quello legato al calcio, che si nutre molto più di indiscrezioni che di fatti concreti. Ci sta, è nel gioco delle parti. Ma proprio per evitare che una palladi neve si trasformi in una valanga, occorrono certezze e prese di posizione. Sarri rimane qui, progetto pluriennale e arrivederci.
Quanto avvenuto oggi ci porta a due riflessioni distinte che comunque si sfiorano fino a toccarsi. La prima riguarda, ovviamente, la notizia in sé: la conferma ufficiosa di Maurizio Sarri come allenatore del Napoli al di là del raggiungimento o meno del secondo posto in classifica. Anche un Napoli malauguratamente terzo in classifica, e quindi impegnato nel preliminare agostano di Champions League, sarà dunque guidato dall’uomo nato a Bagnoli e cresciuto a Figline Valdarno. Una buona notizia, e lo diciamo e lo scriviamo al di là di giudizi tecnici e opinioni personali sul tecnico e sull’uomo Sarri. Perché un allenatore che fa giocare il Napoli come l’ha fatto giocare Sarri quest’anno merita la riconferma a prescindere. Perché buttare di nuovo tutto via per ricominciare sarebbe da stupidi. Perché se questo è l’inizio, siamo ben oltre la metà dell’opera. Perché il Napoli è stato vicino alla Juventus, quindi vicino allo scudetto, come mai negli ultimi anni.
La frase «progetto pluriennale» che De Laurentiis ha voluto inserire nel comunicato è quella che più di tutte deve saltare all’occhio. Vuol dire che ci ha creduto, ci crede e ci crederà anche lui. Com’è giusto che sia, per quello che si è visto finora, e a prescindere da quel che accadrà in questi ultimi 270 minuti. Crederci non vuol dire per forza pensare che Sarri non abbia commesso errori. Il tecnico azzurro ha evidenziato i suoi limiti, in campo e soprattutto fuori. E qui entriamo nella seconda analisi, nella seconda riflessione da fare dopo il comunicato di oggi. E riguarda la comunicazione del Napoli in senso assoluto, generale. Fermo restando il tempismo della nota ufficiale oggi – che permette al tecnico e alla squadra di affrontare l’Atalanta con un surplus di fiducia e di certezza nel futuro -, è bene cercare di capire come e dove migliorare l’aspetto più negativo di tutto il sistema Napoli: la comunicazione. Perché oggi (come l’altro ieri per Mertens e ieri senza comunicato per Koulibaly) il Napoli ha dovuto nuovamente interrompere un silenzio stampa che non è più tale per smentire una notizia del Televideo.
Passi l’ironia per un medium in disuso e inventato ormai 30 anni fa – anche perché una news del genere sul web avrebbe avuto forse anche maggior diffusione (e questo la dice lunga sulla visione mediaticamente obsoleta di De Laurentiis) -, la verità è che il Napoli ha gestito male, da Sarri in giù, il momento delicato dal punto di vista della comunicazione. Al tecnico è mancata la lucidità – o forse un avvolgimento societario – per svestirsi della “tuta metaforica” e mettersi addosso il doppiopetto dello stratega dei media, magari rifiutando le polemiche sterili e concentrandosi sulla protezione della propria squadra e della propria serenità. La società si è sentita accerchiata, ha risposto male a una situazione comunque complicata (il comunicato dopo la riduzione della squalifica a Higuain è stato un autogol) e ha finito per trincearsi dietro il silenzio stampa che nel 2016 appare ancora una volta obsoleto. E che, paradosso, ci ha resi persino felici: sul Napolista, qualche giorno fa, abbiamo pubblicato l’elogio del mutismo del club. Una provocazione, ma nemmeno tanto: se si comunica male, meglio restare zitti.
Una squadra che può vincere (l’ha dimostrato) e vuole vincere (lo dimostrerà) non può permettersi una simile carenza. Deve avere una strategia comunicativa chiara, precisa e diretta. Che magari faccia capo a un dirigente che conosca queste dinamiche e sappia come sfruttarle a proprio vantaggio. Un diggì, un amministratore delegato, un CEO come piace dire e scrivere oggi. Una persona che possa godere di una sua autonomia. Uno in grado di tenere quei rapporti con l’esterno che fino a ora il Napoli come società e Sarri sono stati così poco sicuri nel gestire. Tanto da scegliere il silenzio e doverlo interrompere ogni tot per poter smentire, giudicare, parlare di quanto avvenuto. Oggi è stato fatto bene – bisogna dirlo – perché si è investito il bene più prezioso (le parole che sanno di impegno) nel miglior tecnico possibile (in campo) per questo Napoli. E nella sua possibilità di migliorare ciò che in lui è perfettibile. Che poi sono le stesse cose che mancano anche al Napoli società, che deve crescere lì dove iniziano i rapporti con il mondo esterno. Un passo fondamentale, che non può più essere rimandato.