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L’inquietudine del tifoso del Napoli a ogni fine stagione

L’inquietudine del tifoso del Napoli a ogni fine stagione
Aurelio De Laurentiis (Ciambelli)

Sono ormai diversi anni che al tifoso napoletano non è concesso il sollievo di un finale di campionato senza patemi. Negli ultimi quattro anni forse solo una volta (la prima stagione con Benitez in panchina) ci è stata risparmiata l’angoscia per il domani ignoto che avevamo davanti.

Nel 2013 il tira-e-molla sul rinnovo poi mancato di Walter Mazzarri, che ci aveva appena portati a un vertiginoso secondo posto – sacrificando però entrambe le coppe contro gli abbordabilissimi Bologna e Viktoria Plzen, ma questa è un’altra storia – e il commiato imminente di Edinson Cavani, fresco capocannoniere del campionato (e secondo giocatore del Napoli a centrare questo obiettivo, dopo un certo Diego Armando Maradona); l’incertezza sul futuro di Rafael Benitez lo scorso anno, dopo una stagione controversa (deludente in campionato, ma in corsa fino alla soglia della finale in entrambe le coppe, da cui finimmo estromessi per una combinazione sventurata di colpe nostre e sviste altrui), nel mezzo di quello che pareva un percorso ormai avviato, un embrione di quella progettualità tecnico-sportiva a lungo invocata (e certificata proprio dal manager spagnolo con la celebre dichiarazione: “Napoli non può vincere un titolo ogni venticinque anni”); e perfino quest’anno, la stagione dei record che nessuno avrebbe pronosticato alla vigilia (un anno di transizione, si diceva, o di rifondazione, l’ennesima, con l’empolizzazione del Napoli e la fiera rivendicazione delle scommesse presidenziali) e che ha lasciato tutti a bocca aperta, smentendo fior fior di autorevoli opinionisti, non sta risparmiando al tifoso l’ormai inevitabile attacco di cronofobia. Non tanto per il traguardo del secondo posto che manca a coronare una stagione da protagonisti, che verrebbe sancita da un bottino di punti che nella metà delle ultime quindici annate sarebbe bastato per portare a casa il titolo. E non solo per quella attesissima tripletta che manca a Gonzalo Higuain per ascriversi al novero dei primatisti, infrangendo lo storico record di Gunnar Nordahl che resiste dal 1950 (calcisticamente parlando, come minimo tre epoche fa) e pareggiando i 36 gol di Giuseppe Rossetti della Divisione Nazionale 1928-1929 (l’ultimo col doppio girone), record ineguagliato nella storia dei massimi campionati italiani. Ma per gli strascichi che stanno montando intorno alle tensioni per il rinnovo annuale di Maurizio Sarri, un allenatore che ha superato le aspettative più rosee, vero artefice del mezzo miracolo sportivo di quest’anno.

Una polemica strisciante sta accompagnando le ultime settimane e il silenzio radio decretato dalla società nei riguardi degli organi d’informazione non aiuta. Il Napoli è stato spesso distorto nei suoi valori effettivi tanto dalla televisione quanto dai giornalisti, ma in fondo quale squadra in Italia non lo è stata? L’anomalia che vive il Napoli (e con la squadra il tifoso napoletano) è semmai di non poter contare sul bias favorevole che in qualche misura arride alle altre grandi o presunte tali: le strisciate grazie alla Gazzetta dello Sport, le romane sul Corriere, e tutte insieme sulle pay TV, grazie ai bacini di ascolto portati in dote dalle relative tifoserie. Ma non è tagliando i ponti che si risponde al mal-trattamento mediatico – vero o supposto che sia – anche perché viviamo dopotutto in un’epoca “scientifica”, che ci permette la verifica immediata della corrispondenza tra fatti (dati da prestazioni e risultati) e narrazione costruita dai media. E tanto più che l’auto-isolamento decretato dalla società, anziché costruire una bolla di tranquillità intorno alla squadra, sta producendo come nelle occasioni passate l’effetto esattamente opposto: alimentando voci e indiscrezioni – vero tormento del tifoso – e con esse un malumore generalizzato che non contribuisce affatto alla serenità dell’ambiente.

E così speculazioni infondate sul calciomercato si accompagnano a rumors sul rapporto ai minimi storici tra De Laurentiis e Sarri, finendo per irretire anche il tifoso più smaliziato, che pure avrebbe il diritto di godersi gli ultimi 90 minuti di una stagione sorprendente e memorabile.

Chi scrive ha l’impressione di aver assistito a una progressione continua che da cinque anni a questa parte ha riportato il Napoli a livelli sempre più competitivi, non solo all’interno dei confini nazionali. E tuttavia resta tanto da migliorare (e il Napolista ne ha parlato abbondantemente e con dovizia di particolari): sul piano del carattere e della mentalità, innanzitutto, visto che sono stati proprio questi fattori intangibili a mancare nei momenti cruciali della stagione (dalla prima sfida a eliminazione diretta, in Coppa Italia contro l’Inter, quasi un preludio al leitmotiv della stagione, fino alla doppia sfida con il Villarreal, e poi allo scontro diretto con la Juventus e, sebbene meno doloroso, quello con la Roma); sul piano della comunicazione, come dicevamo, con responsabilità ripartite tra la società (al di là della latitanza di una strategia chiara, la gestione delle conferenze stampa lascia quantomeno molto a desiderare) e lo stesso Sarri, che in più occasioni ha prestato il fianco agli strali dei detrattori, offrendo pretesti tutto sommato evitabili come la lunga diatriba sui posticipi e gli anticipi, le recriminazioni sulle caratteristiche del pallone o la sufficienza con cui ha affrontato la sessione invernale del mercato; sul piano tecnico, dotandoci finalmente di una rosa sufficientemente ricca e profonda, e trovando un compromesso necessario tra gli undici titolarissimi di Sarri e il turnover spietato di Benitez. Diversi elementi permettono di confidare legittimamente in una felice risoluzione dei nodi esistenti, come dimostra anche la gestione del duello a distanza con la Roma, una squadra investita del ruolo di anti-Juve prima ancora dell’inizio del campionato, poi data tra le tre pretendenti allo scudetto con Juventus e Inter, e dopo la cacciata di Garcia praticamente rifondata nel mercato invernale… lo stesso allegramente snobbato dal Napoli.

A prescindere da come finirà, alla soglia degli 80 punti stagionali non si può nutrire una motivata soddisfazione per quanto fatto quest’anno, oltre che per il gioco espresso che è stato quasi sempre convincente e mediamente il più piacevole visto in Italia. Ma per il futuro andrebbero incoraggiati dei meccanismi diversi di gestione delle battute di chiusura. Posso capire che il presidente, vista la sua provenienza, nutra una certa passione per i finali a effetto, ma talvolta l’anticlimax non è proprio da disdegnare. E in una piazza emotiva come Napoli, in un ambiente che vive di sbalzi umorali e in cui dietro ogni impennata d’orgoglio può nascondersi una svolta apocalittica, contenere le fluttuazioni potrebbe rivelarsi sorprendentemente salutare. Raffreddando gli animi riusciremmo magari anche a guardare con maggiore lucidità a quanto fatto, al percorso seguito e ai traguardi raggiunti, e questo aiuterebbe senz’altro chi di dovere (allenatore, giocatori e società) a prepararsi al meglio per gli obiettivi futuri. In maniera tale che ogni stagione non sia prevedibilmente condannata a concludersi con l’epilogo ormai telefonato di un redde rationem, ma serva anche a consolidare le basi per gli sviluppi a seguire, riuscendo a dissipare – per quanto possibile – l’inquietudine del tifoso.

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